Francesca Lombardi –

Abstract: Scopo dell’indagine è osservare come il conflitto armato sia mutato negli ultimi decenni. Nell’epoca dell’integrazione tecnologica e della globalizzazione, le armi convenzionali non sono le sole a caratterizzare i conflitti bellici; la comparsa di armi di nuova concezione ha gradualmente reso indistinto il volto della guerra, i suoi attori e le sue geografie. La tecnologia ha rimodellato l’idea di conflitto internazionale, ha ridisegnato i luoghi, gli scenari e gli attori in gioco, attribuendo alla guerra declinazioni multiformi.
Nel 2017 l’Istituto per la Ricerca internazionale sui conflitti della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Heidelberg ha pubblicato un documento denominato Conflict Barometer 2017, il quale evidenzia 385 conflitti accesi nel mondo al momento in cui è stato redatto, si tratta del più elevato numero mai osservato a decorrere dal 1945. L’aspetto peculiare, al di là del mero dato numerico e delle ragioni sottese alle tensioni, risiede nelle nuove dinamiche del conflitto. Molti conflitti, che pur alterano in modo significativo le relazioni interne ed esterne fra Stati, non hanno tratti identificativi palesi, collocandosi al limite con quanto tradizionalmente poteva essere considerato come un crimine. Le trasformazioni interne ed esterne, vanno colte nel loro complesso; per tale ragione l’analisi muove da osservazioni di matrice critica, idonee a cogliere l’interdisciplinarietà della tematica.
Analizzare il tema del conflitto armato si rende necessario alla luce mutamenti intervenuti nei conflitti contemporanei. I grandi conflitti mondiali, che hanno comportato ingenti costi in termini economici e di vite umane hanno lungamente rappresentato un deterrente per lo scoppio di conflitti successivi. Ogni grande conflitto comporta l’indebolimento degli equilibri internazionali e il timore che uno Stato riesca ad imporre la propria egemonia.
I quasi 50 anni di Guerra fredda avevano assicurato, sul piano percettivo della minaccia, equilibrio e certezze; ma, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la correlata caduta del Muro di Berlino nell’89, si è posto fine a quel sistema politico internazionale fondato sull’equilibrio delle potenze sovrane. Da quel momento in poi, si è fondato un nuovo ordine, un differente sistema internazionale, espressione dei mutati rapporti di forza tra gli attori geopolitici, e non unipolare (MINCA C, BIALASIEWICZ L. 2004).
La fine di tale conflitto anomalo in termini di strategie, non ha comportato l’instaurazione di una pace duratura, di un nuovo ordine mondiale, ma nuove forme di tensioni internazionali con la rinascita dei nazionalismi e degli antagonismi fra identità diverse. In varie regioni del mondo si sono scatenati nuovi focolai di crisi, spesso generati da vecchie conflittualità mai risolte: scontri etnici, religiosi, rivalità territoriali, ambizioni egemoniche; alimentati da un generale stato di malessere provocato da un’asimmetrica distribuzione della ricchezza. Povertà, scarsità di risorse e disuguaglianze sono terreno fertile per i conflitti; Samuel Huntington vede nella globalizzazione un fattore di contrapposizione e non di unione tra i popoli e le civiltà cui essi appartengono: più il mondo diventa globale, più gli individui e le comunità ricorrono al locale, alle tradizioni di tipo religioso, culturale, morale, uno scontro fra civiltà (HUNTINGTON; 2000). Per comprendere un conflitto, secondo la visione di Yves Lacoste, non è sufficiente cartografare uno scenario, occorre rappresentare al meglio le idee degli attori geopolitici (LACOSTE; 1993). In tale ottica, lo studio geopolitico presenta delle peculiarità rispetto ad altre discipline, soprattutto per quanto attiene la dimensione spaziale del conflitto (ANDREATTA; 2004), è per tale ragione che pare necessario comprendere le nuove dinamiche del conflitto, attraverso l’indagine di tutte le geografie coinvolte.
Nei decenni successivi al 9 novembre del 1989, le instabilità e le crisi in varie regioni del mondo si sono susseguite a ritmo crescente: dal Golfo Persico con l’invasione del Kuwait negli anni ’90 alla crisi dei Balcani in Croazia prima e in Bosnia-Erzegovina poi; in Kosovo, in Mozambico, in Somalia a Timor Est. Non solo, tristemente note sono le crisi in Africa centrale, in Libano, in Siria ed in tutto il Medioriente.
Con uno sguardo ai dati, nel 2017 l’Istituto per la Ricerca internazionale sui conflitti della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Heidelberg ha pubblicato un documento denominato Conflict Barometer 2017, il quale evidenzia 385 conflitti accesi nel mondo al momento in cui è stato redatto, di cui 130 contraddistinti dalla causale system/ideology. Rispetto a tali conflitti risultano sottolineati, tra gli altri, i seguenti dati: 222 conflitti contraddistinti da un indice più o meno elevato di violenza pari ad oltre il 50% dei conflitti analizzati, il dato importante su cui riflettere è che si tratta del più elevato numero mai osservato a decorrere dal 1945. Tuttavia, l’aspetto peculiare, al di là del mero dato numerico e delle ragioni sottese alle tensioni, risiede nelle nuove dinamiche del conflitto. Molti conflitti, che pur alterano in modo significativo le relazioni interne ed esterne fra Stati, non hanno tratti identificativi palesi, collocandosi al limite con quanto tradizionalmente poteva essere considerato come un crimine. Le trasformazioni interne ed esterne, vanno colte nel loro complesso; per tale ragione il cambiamento deve incidere anche sulle modalità di analisi (PARAGANO; 2017).
In primo luogo, a mutare è lo spazio in senso fisico, che cambia i suoi connotati essenziali9, la logica non è quella di soffermarsi sulle azioni degli attori statali, ma di individuare nuovi attori e esaminare anche le azioni geopolitiche alla base delle politiche internazionali (FLINT C., TAYLOR P. J., 2018).
In questo senso, connotato essenziale dello spazio è la società che lo occupa, di conseguenza, soffermarsi sullo spazio e su come muta la società che lo occupa è necessario perché, l’introduzione delle tecnologie UAV e cyber nei conflitti armati hanno modificato, e continuano a modificare incessantemente i luoghi. In altri termini, la complessità della tematica, e le varie sfaccettature di cui si compone, impongono di includere differenti prospettive, in grado di ampliare il dibattito anche sulle ricadute che i conflitti esercitano sulla società tutta, non solo su di un’unica geografia.
Nell’epoca dell’integrazione tecnologica e della globalizzazione, le armi convenzionali non sono le sole a caratterizzare i conflitti bellici; la comparsa di armi di nuova concezione ha gradualmente reso indistinto il volto della guerra, i suoi attori e le sue geografie. La tecnologia ha rimodellato l’idea di conflitto internazionale, ha ridisegnato gli scenari e gli attori in gioco, attribuendo alla guerra declinazioni multiformi. L’arma utilizzata cambia forma, le armi di distruzione di massa continuano a gettare ombre di paura ma, non sono gli unici strumenti utilizzati per avvantaggiarsi in un conflitto, la sicurezza non implica più e solo la difesa di un territorio entro confini ben definiti, ma la protezione della popolazione da azioni che possano produrre instabilità e violazioni fisiche, ma anche morali. L’ espressione più emblematica delle nuove forme di guerra, propria dei conflitti post 11 settembre, è la guerra asimmetrica, di cui quella al terrorismo rappresenta uno dei modelli maggiormente utilizzati nella lettura degli odierni conflitti. La guerra asimmetrica si configura come un conflitto non dichiarato, con notevole disparità di risorse: spesso il contendente militarmente ed economicamente più forte deve difendersi da un avversario difficilmente individuabile (LIANG Q, XIANGSUI; 2016), trovandosi in situazione di svantaggio. L’asimmetria non è solo nelle modalità di combattimento, ma anche negli strumenti utilizzati, essa è favorita dall’utilizzo delle nuove tecnologie nei sistemi di arma; tuttavia non è l’unica nozione in grado di definire le nuove modalità di guerra. Essa è il carattere saliente della cyberwar, e la sua globalità dipende dalla circostanza che lo spazio cibernetico, in cui è connessa ormai ogni singola nazione è priva di limiti territoriali: si tratta di un conflitto che non può essere circoscritto in confini fisici perché la rete non ne possiede, ma che, come gran parte delle attività che si svolgono nel cosiddetto spazio virtuale, ha delle significative ricadute sul territorio, nonché delle proprie, per quanto non sempre evidenti, geografie.
L’introduzione di nuove tecnologie in ambito militare, nei sistemi di arma e nelle modalità di utilizzo, ha segnato una rivoluzione nelle dinamiche di conflitto denominata guerra di quarta generazione. Le nuove tecnologie, adoperate in conflitto, hanno condizionato l’alterna evoluzione delle dinamiche militari, crocevia in cui si sviluppano diverse geografie. Le nuove armi e le nuove dinamiche, hanno inciso notevolmente sulle categorie classiche della geopolitica del conflitto, non solo in termini strettamente strategici, connessi alle tecniche di combattimento, ma ha inciso sugli elementi fondamentali per la comprensione del fenomeno guerra: gli spazi e gli attori. Le guerre diventano sempre più complesse a mano che il mondo diventa più interconnesso e globalizzato, non si tratta di un fenomeno statico, analizzabile con interpretazioni immutabili, le caratteristiche della guerra mutano con il mutare delle dinamiche sociali e, soprattutto, delle nuove tecnologie.
L’ introduzione delle tecnologie informatiche e satellitari, l’uso di missili teleguidati hanno apportato importanti cambiamenti all’interno delle tecniche militari e, di conseguenza, nelle dinamiche di conflitto. Fra i cambiamenti più significativi rientra sicuramente l’incremento nell’utilizzo di dotazioni informatiche, sia in fase di addestramento che nel corso delle operazioni militari in senso stretto, l’informatizzazione dei comandi, e nuove modalità di combattimento. Questi sviluppi rientrano nell’ambito della guerra di quarta generazione, concetto introdotto nel 1989 e, in particolar modo, in seguito alla cosiddetta Global War on Terror ha popolato il dibattito militare e civile. Tale modalità di guerra, segna una decisa rottura con le precedenti generazioni di conflitto. A mutare fino a dissolversi sono i luoghi della guerra, gli attori, la distinzione fra combattente e civile, al punto che risulta labile lo steso confine fra guerra e pace.
La distinzione tra guerra e pace è tanto sottile che non è possibile individuare un fronte o un campo di battaglia, e, non essendo facile individuare un campo di battaglia, non sarà facile distinguere fra civile e militare, rendendo la guerra largamente indefinita. Questa nuova modalità di conflitto rende il nemico non rintracciabile geograficamente, ben potendo essere un attore altro rispetto ad uno stato, e ben potendo offendere con strumenti diversi da quelli militari canonici. Le guerre delle generazioni precedenti avevano caratteristiche stagne, di facile interpretazione: quelle di prima generazione si caratterizzavano per l’impiego di combattenti, in formazioni lineari; nelle guerre di seconda generazione il fattore decisivo per il successo o la sconfitta diviene l’impiego massiccio e coordinato della potenza di fuoco, come avvenne per gran parte della Prima Guerra Mondiale; le guerre di terza generazione, la guerra lampo combinando velocità, potenza di fuoco e sorpresa; le guerre di quarta generazioni sono multiformi, nelle tecniche e negli effetti.
Questo cambiamento nella prassi ingenera non poche perplessità sulla legittimità delle azioni di forza, soprattutto nel momento in cui vengano adoperate delle nuove tecnologie come i droni e il cyber, in grado di rendere sottile il confine spazio temporale. I veicoli a pilotaggio remoto hanno mutato le geografie tradizionali disegnando nuovi luoghi di azione con ricadute finora inesplorate sugli spazi. Questo avviene perché lo spazio cibernetico funge da contenitore non solo di informazioni e dati più sensibili della vita politica, economica e sociale di un Paese, ma da esso dipende lo stesso funzionamento di settori nevralgici per la produzione nazionale, per la sicurezza e l’incolumità dei suoi cittadini. A ciò si aggiunge un’altra caratteristica delle nuove guerre asimmetriche già diventata consuetudine nella cyberwar, ossia la totale assenza di una dichiarazione di guerra vera e propria; nel caso della guerra cibernetica, l’azione di un hacker può avere ragioni sottese che vanno al di là dell’affermare l’egemonia di uno Stato, spesso si vuole colpire un bersaglio lontano ideologicamente dalle condizioni di chi agisce. Rispetto alle generazioni di guerra precedenti mutano significativamente anche gli attori, l’evoluzione della tecnologia permette la sua espansione e la sua diffusione a sempre nuovi soggetti. Proprio per via della confusione che ancora domina al riguardo, le capacità di un attacco informatico non fanno ancora parte ufficialmente degli arsenali a disposizione degli Stati; tuttavia, visto il numero crescente di incursioni, si sta diffondendo la consapevolezza, presso un numero sempre maggiore di Stati, che esse siano parte integrante del potenziale militare nemico. Tali questioni generano la necessità di una nuova lettura critica della geopolitica della guerra, al fine di indagare in che termini la tecnologia impatta su di essa generando nuove dinamiche di conflitto e negoziazione. Il lavoro, attraverso una prospettiva di indagine critica, muove da una analisi dell’impatto della tecnologia in guerra, a partire dall’introduzione dell’arma aerea, tiene conto delle ricadute che ciascuna innovazione ha avuto sulle geografie militari e sullo sviluppo di riflessioni in tema di guerra e pace, per dettare i crismi di una chiave di lettura più opportuna alla luce del mutato scenario bellico. L’indagine non prende in esame un singolo conflitto; obiettivo primario è osservare come le nuove tecnologie, adoperate in ambito militare, incidano sugli spazi, sui luoghi e sugli attori, creando, talvolta, criticità rispetto alle generazioni precedenti di guerra.
La guerra non conserva un carattere umano se l’uomo non vi pone la propria intelligenza al fine di evitare catastrofi. L’uso delle nuove tecnologie impone delle riflessioni differenti rispetto a quelle poste dalle guerre classiche, ogni volta che la civiltà metterà a punto nuove tecnologie, nuove armi la riflessione meriterà di essere riaccesa. L’utilizzo di nuove armi a controllo remoto e delle tecnologie cyber ha reso la guerra multiforme, rapida, imprevedibile e difficilmente interpretabile attraverso le categorie classiche; la rapidità di cambiamento rende difficile utilizzare un approccio tradizionale per ripensare alle dinamiche della guerra, ma soprattutto per osservarne le manifestazioni di impatto profondo. Il mondo dei conflitti è armati è, abbiamo visto, in continua e costante evoluzione tecnologica di cui la letteratura, non sempre è riuscita a seguire gli sviluppi e a dettare delle chiare e rapide chiavi di lettura per gli attori internazionali. L’industria militare si è sempre caratterizza per gli alti investimenti in tecnologia, sia nei settori tradizionali delle armi che nel settore delle telecomunicazioni e dell’elettronica. Una delle maggiori tendenze della ricerca militare coinvolge il ricorso ad equipaggiamenti elettronici incorporati in ogni sistema d’arma, dagli aerei ai carri armati e alle navi ed ora ai veicoli a controllo remoto. Il conflitto armato, si è detto, ha cambiato forma e sostanza, ma non è scomparso, ha innescato dei meccanismi differenti, utilizzando strumenti che sembravano limare i danni collaterali per civili e combattenti, in realtà ad una osservazione attenta, il modo di combattere ha avuto ripercussioni sulla popolazione civile, sullo status dei combattenti, ma anche sulle geografie dei territori coinvolti, tanto in qualità di parte attiva, quanto in qualità di parte passiva. Le implicazioni dell’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate sulle geografie apportano dei cambiamenti sugli spazi, suoi luoghi, sugli attori e, conseguentemente, sulle dinamiche politiche. L’utilizzo di tecnologie come i veicoli a pilotaggio remoto consente di colpire un bersaglio in un luogo a km di distanza dal punto in cui viene azionato il comando, incidendo notevolmente sui luoghi della guerra. La asserita necessità di una risposta rapida a situazioni di pericolo per la sicurezza internazionale, come gli attentati terroristici, ha orientato alcuni attori, fra cui gli USA, maggiori sviluppatori di questa tecnologia, ad utilizzare in maniera massiva i veicoli a pilotaggio remoto. Il drone è stato descritto, durante alcune dichiarazioni ufficiali americane, come l’arma tecnologica in grado di produrre un vantaggio insormontabile grazie alla sua capacità di uccidere ovunque e in qualsiasi momento senza esposizione degli operatori al rischio, la priorità è quella di agire velocemente e ovunque il nemico si trovi. In questo senso, un primo effetto sulle geografie interessate dal cambiamento nelle tecniche di combattimento si è manifestato sullo spazio del conflitto. cambia non solo l’idea di confine statale, ma non essendo possibile rintracciare in maniera netta gli attori in campo, non essendo possibile individuare con chiarezza fin dove si estenda il conflitto, cambia il significato di spazio. Queste nuove armi ad alta tecnologia sconvolgono le tradizionali aspettative sulla guerra in almeno tre dimensioni. Prima di tutto, modifica il concetto di luogo e tempo del combattimento; in secondo luogo, modifica l’idea tradizionale del combattente, il combattente è un tecnico specializzato che si colloca dietro ad una consolle a migliaia di km di distanza dall’obiettivo. In ultimo cambia il concetto di obiettivo, con impatti sulle geografie normative circa lo status del soggetto coinvolto. Quest’ultimo può essere preso di mira mentre si impegna nelle attività più ordinarie della vita privata. I luoghi del conflitto contemporaneo assumono una portata tridimensionale, dal tradizionale battlefied bidimensionale si è passati ad analizzare il battlespace, discutendo di tre diverse dimensioni nella geografia del drone (PARAGANO; 2019): il luogo di operato, in cui il drone manifesta la sua azione; il luogo di appoggio, in cui i droni vengono fisicamente collocati prima e dopo una operazione e il luogo di controllo remoto, da cui l’operatore controlla e guida l’azione. La tridimensionalità incide sul territorio, in maniera diversa rispetto alle dimensioni del conflitto tradizionale ed in sensi multiformi e fluidi: l’operatore si trova in una sorta di divario spaziale, osservando, da un monitor, la quotidianità di un obiettivo sensibile di cui non è facile comprendere lo status: civile o combattente. Si viene proiettati a distanza, in un viaggio nello spazio, si osserva una realtà diversa da quella dell’osservatore, gli obiettivi sono proiettati nel campo visivo dell’operatore attraverso la proiezione su di uno schermo, si osserva un modello di vita sospetto, studiato come se fosse in una geografia parallela, in una sorte di video game. Se è complesso individuare quale sia lo spazio della guerra, sarà altrettanto complesso individuare chi siano gli attori del conflitto, il chi e il dove sono strettamente interconnessi, cambia lo status degli attori coinvolti.
Gli obiettivi considerati di alto valore sono individuati diversamente e diventano oggetto di attacchi personalizzati, in Afghanistan, sebbene molti degli obiettivi fossero persone vicine a combattenti talebani o di al Qaeda, la maggior parte degli omicidi mirati sono stati operazioni contro soggetti anonimi. Questo impatta sulle geografie emotive dell’operatore e del bersaglio, anche in termini di spazi, incidono sulla società circostante dando luogo a momenti di tensione sociale. Nonostante il perfezionarsi della tecnologia e l’aumentare della distanza fisica fra operatore e bersaglio, non è aumentata, in maniera direttamente proporzionale, la distanza emotiva del combattente rispetto al bersaglio e all’azione militare. Cambia anche l’idea tradizionalmente legata alla guerra, cambia l’immagine del soldato e del bagaglio emotivo che porta con sé (BERNAZZOLI R., FLINT C.; 2009). Nell’immaginario collettivo, il soldato veniva immaginato su di un campo di battaglia a compiere un’azione fisica a tutela della propria nazione. Il soldato stesso, dopo l’operazione militare, tornava alla base, fra i propri commilitoni, dopo aver colpito un bersaglio con il quale non aveva stabilito alcuna relazione. Molti militari svolgono oggi le medesime attività, si ha un crescente numero di operatori che avanti ad un pc inviano comandi ad apparecchi a controllo remoto situati a grande distanza e controllano le manovre dei veicoli a pilotaggio remoto. Studi recenti hanno evidenziato come gli operatori di veicoli a pilotaggio remoto abbiano una maggiore probabilità di sviluppare disturbi da stress post traumatico rispetto ai combattenti tradizionali. L’avanzare della tecnologia, dunque, non allontana lo stato emotivo delle persone coinvolte in conflitto. L’individuazione di un obiettivo produce una spersonalizzazione, l’individuo viene visto come un obiettivo artefatto e non come un corpo in fin di vita che si osserva dallo schermo video installato sul velivolo. Il bersaglio viene prodotto come immagine su uno schermo, e l’individuo pertanto, diviene un bersaglio che risulta doppiamente artificiale, nonostante sia una persona in carne ed ossa. Tuttavia, questo allontana i luoghi fisici, ma avvicina quelli emotivi. Già Sun Tsu nel suo celebre testo sottolineava quanto fosse importante, per il buon esito della guerra, la soddisfazione delle truppe: «un esercito confuso conduce all’altrui vittoria, perché se la prima regola dell’arte militare si chiama misurazione degli spazi, la seconda si chiama misurazione delle forze» (SUN TZU; 1988). La tendenza a sviluppare questo tipo di disturbi da parte degli operatori ha delle ripercussioni anche sulla geografia del territorio in cui essi si trovano a vivere, potendo, la situazione di disagio, sfociare in una conflittualità fra il militare e le persone a lui vicine. Problema speculare è quello relativo alla geografia sociale ed emotiva del territorio coinvolto nelle operazioni. I cittadini, civili, sono costantemente preoccupati che un drone possa colpire un obiettivo a loro vicino e che, di conseguenza, possano perdere i loro affetti o le loro abitazioni a causa di un combattimento aereo. Ancora, si è osservato come il controllo costante, esercitato con i veicoli a pilotaggio remoto, possa dare un senso di pressione costante.
Nonostante il grande impatto nel mondo della guerra dei veicoli a pilotaggio remoto, essi non sono l’unico ritrovato della tecnologia in grado di incidere sul conflitto contemporaneo. Un altro cambiamento che sta interessando il mondo del conflitto armato e che merita attente riflessioni sono gli attacchi informatici, la cosiddetta cyberwar, categoria in continuo divenire. Gli attacchi informatici sono in grado di violare in qualsiasi momento software con conseguenze del tutto inaspettate. Le ricadute si hanno non solo sulla privacy dei cittadini legata ai dati personali o finanziari. Essi assumono una vera e propria dimensione militare nel momento in cui sono in grado di colpire apparati militari, divulgare informazioni sensibili.
Ancor più delicato sarebbe il caso in cui le due tecnologie si intersecassero, attraverso un sistema di hackeraggio che riuscisse ad interferire sulla traiettoria di un missile, colpendo un obiettivo diverso rispetto a quello che l’operatore, eseguendo correttamente la procedura voleva colpire. Gli effetti inattesi sarebbero repentini al punto che difficilmente si potrebbero evitarne le nefaste conseguenze. La guerra di quarta generazione, dunque, rende labile la linea di demarcazione fra pace e guerra non solo in termini di spazi fisici, si è visto, anche in termini emotivi, ma soprattutto in termini normativi. L’utilizzo di particolari strumenti tecnologici, soprattutto le sue modalità di utilizzo, la rapidità dell’azione, ha comportato spesso una deroga ai principi normativi internazionali. In primo luogo, cambia la disciplina applicabile in tema di rispetto della vita e dei diritti umani inviolabili a seconda che il soggetto colpito acquisti lo status di civile o di combattente; ma soprattutto la deroga, nella prassi, a dichiarare formalmente la guerra, rende complesso individuare quali siano gli spazi coinvolti, i territori coinvolti, gli attori principali e, di conseguenza, le ripercussioni in caso di violazioni del diritto internazionale in bello. La dichiarazione di guerra consentiva di individuare attori e territori coinvolti, al fine di limitare e rendere visibile agli osservatori le condizioni del conflitto, di distinguere fra civile e combattente e consentiva, ai sensi della Dichiarazione di Ginevra che, in caso di violazioni, altri stati prendessero i provvedimenti atti a segnalare le infrazioni affinché queste cessassero immediatamente.
Tutto ciò al fine di ripristinare il rispetto del diritto internazionale in caso di guerra e dei diritti umanitari. Se oggi l’impalcatura legale si dissipa a poco a poco è opportuno domandarsi fino a che punto la prassi possa derogare a norme aventi valore legale di legge. L’idea normativa della reciprocità su cui si fonda la presunta legalità di tali operazioni, è solo un’astrazione, perché non è l’effettiva minaccia al particolare combattente a rilevare; durante la battaglia spesso vengono feriti o uccisi anche soggetti non militari, basti pensare ai medici da campo, o a civili di passaggio, tuttavia le nuove tecniche di guerra concentrano questi danni collaterali solo in uno dei territori degli schierati in campo. È opportuno domandarsi fino a che punto una convenzione possa derogare ad un atto avente valore di legge internazionale. Inderogabile è la gerarchia delle fonti, ai cui vertici troviamo le norme ordinarie, al pari dei trattati internazionali e alla cui base troviamo le convenzioni, ultima fonte del diritto in termini di importanza. Sicuramente in un sistema legale improntato sul bilanciamento di principi, il primo principio inderogabile è il diritto alla vita, al quale è subordinato ogni altro. Il diritto internazionale umanitario vieta che la popolazione civile venga colpita in conflitti armati, internazionali e non. La questione si focalizza sullo status di questi individui e sull’opportunità o meno di identificarli come civili che partecipano direttamente alle ostilità, essendo presenti sul luogo del conflitto, o come combattenti non civili, rendendoli obiettivi legittimi in conflitti armati non internazionali. Senza una dichiarazione di guerra questa distinzione non è tracciabile, così come non essendoci un documento ufficiale da cui desumere in termini univoci gli attori in campo, l’interpretazione si rende più complessa quando si tratta di attori sub statali. L’armonizzazione fra diritti umani internazionali e diritto umanitario è complessa in uno scenario flessibile come quello attuale, in cui l’assenza di una formale dichiarazione di guerra rende offuscato il confine fra guerra e pace. Si è osservato fino a che punto l’etica della guerra possa consentire delle siffatte operazioni prive di una architettura legale. Questa tendenza deve generare una riflessione sulla opportunità dell’utilizzo di questi strumenti con le attuali modalità che porta alle ricadute analizzati in termini di violazione dei dettami normativi e di disturbi per gli operatori che possono modificare significativamente i luoghi e la società. Diversamente da quanto ritenevano Clausewitz e Hegel secondo i quali le armi attraverso le quali il nemico può essere attaccato a distanza permettono ai sentimenti di rimanere a riposo e con il trionfo della ragione a misura che il progresso fornisce armi intelligenti più il soldato è al sicuro, fisicamente ed emotivamente.
La riflessione fin qui condotta e sviluppata, in ragione della rapidità con cui la tecnologia e le nuove dinamiche internazionali sono in grado di incidere sulla guerra, merita di essere costantemente aggiornata, in un’ottica interdisciplinare, al fine ultimo di affrontare adeguatamente le nuove sfide internazionali. Nei decenni passati, il progresso intellettuale e morale della società ha orientato il sistema politico internazionale verso una revisione delle norme e delle prassi militari, verso una civiltà orientata al rispetto dei diritti umani, anche in situazioni di tensioni geopolitiche internazionali e di conflitto. Il progresso tecnologico non può e non deve derogare al progresso civile tanto duramente conquistato, essi, al contrario, devono procedere di pari passo per limitare i casi di danno collaterale e di violazioni nel rispetto dei diritti umani.
La risposta all’esigenza di fornire delle nuove chiavi di lettura al fenomeno può essere fornita solo attraverso una osservazione ampia che susciti, attraverso una lettura critica, un dibattito continuo fra interpreti delle varie discipline in grado di osservare il fenomeno da più punti prospettici.