I conflitti interstatali per il controllo delle risorse idriche. Il caso del bacino del fiume Nilo

Michele Carretti

Carretti Acqua Neverland

Abstract

In questo elaborato si tratterà dei conflitti tra Stati per l’accesso, lo sfruttamento e il controllo di risorse idriche transfrontaliere. Si partirà con l’evidenziare quanto l’acqua sia un bene tanto prezioso quanto fonte di conflitti in tutto il mondo, in particolare in zone già caratterizzate da instabilità. Si procederà quindi ad una analisi del concetto di conflitto in tema di risorse idriche considerando allo stesso modo le possibilità di cooperazione che esse stesse offrono. Infine, si effettuerà l’analisi di un caso specifico: quello della gestione dell’acqua del bacino del fiume Nilo.

KEYWORDS: acqua, conflitti, Nilo, Etiopia, Egitto, Sudan, GERD

1. Introduzione. L’acqua come fonte di conflitti

L’acqua è un bene di fondamentale importanza per l’essere umano e per la sua vita sul pianeta Terra. Essa, tuttavia, è soggetta ad una serie di problemi che ne complicano l’approvvigionamento e che di conseguenza determinano il verificarsi di tensioni e di conflitti, nonché situazioni di povertà e miseria per milioni di persone nel mondo. Tali problemi possono avere diversa natura e diversi sviluppi, ma principalmente possono essere distinti in tre grandi insiemi: economico, ambientale e politico.

Prima di procedere all’esame di questi tre insiemi, è necessario rilevare come l’acqua nel mondo sia diversamente distribuita, il che significa che determinati paesi possono beneficiare di una maggiore disponibilità di risorse idriche mentre altri soffrono di un

particolare stato di carenza. In questo caso è la geografia a dettare in via preliminare situazioni di disequilibrio. In base ad una ripartizione tra continenti che tiene conto della proporzione di popolazione mondiale (Mauceri, 2016), l’Africa risulta essere il continente più in difficoltà, avendo una quota di risorse idriche pari al 13% del totale nel mondo ed una popolazione in costante crescita. Nondimeno, al suo interno si evidenzia un ulteriore squilibrio tra aree geografiche, essendoci regioni desertiche come quella del Sahara e regioni ricche d’acqua come quella dei Grandi Laghi. Un altro caso emblematico di zona geografica afflitta da un pericoloso stato di crisi idrica è quello della regione mediorientale, dove l’insufficienza di precipitazioni e di riserve nelle falde acquifere si intrecciano con i conflitti di natura politica propri dell’area (Allan, 2002). Di converso, anche nei continenti in cui l’acqua è più abbondante vi sono casi in cui la distribuzione territoriale è irregolare. Un esempio di questo tipo sono le zone occidentali degli Stati Uniti per quanto riguarda il continente americano, e la parte settentrionale della Cina per quanto riguarda l’Asia.

Oltre all’aspetto geografico, le problematiche relative all’acqua nel mondo sono evidentemente determinate da situazioni dove è decisivo l’intervento dell’uomo. Nel dettaglio, per quanto riguarda i problemi di natura economica, essi consistono in un eccessivo sfruttamento a fini economici delle risorse idriche a disposizione, siano esse falde acquifere o bacini di superficie; uno sfruttamento che si realizza come superiore al tasso naturale di ripristino delle stesse. Attività umane come l’agricoltura, l’allevamento e l’industria sono divenute negli anni sempre più dispendiose di acqua, soprattutto nei paesi ad economia avanzata (Valori 2012). Stili di vita consumistici nonché incrementi demografici sono alla base di questo sovra-sfruttamento di risorse idriche. Sotto quest’ottica, lo sfruttamento di risorse idriche può essere considerato alla stregua dello sfruttamento di idrocarburi, di risorse cioè fondamentali per la crescita dell’economia, ma destinate ad un prossimo esaurimento. Legato a questi fattori è anche il problema dello spreco, che può avvenire sia a livello di distribuzione, nel caso di carenze infrastrutturali, sia a livello di azioni quotidiane dei singoli individui.

Dal punto di vista ambientale si rileva il preoccupante problema dell’inquinamento. Questo fenomeno è strettamente legato al precedente ordine di problemi a carattere economico, dal momento che le attività umane, specialmente nei settori dell’industria, della chimica e dell’agricoltura, hanno gravi ripercussioni sugli ecosistemi naturali e sulla salubrità delle acque. L’inquinamento, come conseguenza, riduce l’ammontare delle risorse idriche potenzialmente a disposizione alimentando la battaglia per il suo accaparramento, specie in zone già in sofferenza.

Infine, vi sono le questioni che rientrano nell’ambito politico. Il controllo di corsi d’acqua e di risorse idriche in generale è stato nella storia motivo di aspri conflitti tra popoli e sistemi di potere. Gli stati a monte dei fiumi, ad esempio, hanno sempre cercato di espandersi a valle, fino a giungere alla foce (Jean, 2012). L’accesso e il controllo dell’acqua si configura anche come parte di croniche contrapposizioni tra nazioni, etnie e confessioni religiose. Attualmente, l’approvvigionamento delle risorse idriche è questione non di secondaria importanza in numerosi conflitti in tutto il mondo. Nel successivo paragrafo si delineeranno i tratti di questi conflitti.

2. I conflitti relativi al controllo di risorse idriche. Una breve analisi

I conflitti per il controllo di risorse idriche si sono combattuti sin da tempi immemori, ma nel nostro presente stanno conoscendo una nuova esacerbazione dovuta ai motivi precedentemente enunciati. Già nel 1995, l’allora vicepresidente della Banca Mondiale Ismail Serageldin affermò che i conflitti del XXI secolo si sarebbero combattuti per l’acqua, così come quelli del XX si sono combattuti per il petrolio (Shiva 2003; Serageldin 2009).

Centrale a questo rispetto risulta essere il concetto di sicurezza idrica, un’espressione di recente affermazione che sta ad indicare la facoltà di poter disporre di un quantitativo adeguato di acqua per la vita economica e sociale di un paese (Grey and Sadoff 2017). Analogamente, dunque, ad altri concetti simili come quelli di sicurezza alimentare,

energetica, o al più classico di sicurezza nazionale, la sicurezza idrica si presenta come un nuovo imperativo degli stati, un nuovo livello di tutela da garantire ai propri consociati.

I conflitti relativi al controllo di risorse idriche si verificano principalmente laddove vi sono corsi d’acqua o bacini idrici transfrontalieri, ovvero che si estendono ricoprendo il territorio di più entità statali. Questo è il caso dei maggiori teatri di conflitto al mondo che abbiano l’acqua come motivo del contendere. Inoltre, accanto al tradizionale conflitto interstatale per il controllo di risorse idriche, si presenta un altro tipo di conflitto combattuto invece tra popolazioni indigene e governi contro lo sfruttamento indiscriminato di risorse idriche o tra le stesse popolazioni e grandi aziende multinazionali dedite allo sfruttamento commerciale di questa risorsa (Shiva, 2003). È intuitivo comprendere come questa particolare natura del conflitto, soprattutto nel secondo caso evidenziato, sia di recente manifestazione, evidenziandosi come conseguenza del pervasivo processo di globalizzazione economica che caratterizza i nostri tempi (Zolo, 2004). In questa trattazione, ad ogni modo, ci si concentrerà sui conflitti interstatali.

A tal proposito è opportuna una precisazione. Con il termine conflitto si vuole qui indicare qualsiasi tipo di contesa tra parti che ricomprenda azioni di tipo ostile, ma non necessariamente operazioni militari e di guerra così come convenzionalmente intesa. In questa definizione rientrano, perciò, azioni economiche, politiche, e diplomatiche che possono essere poste lungo una scala a seconda della loro intensità che va da semplici minacce verbali a vere e proprie dichiarazioni di guerra (Yoffe et. al 2001). In proposito, studi empirici (De Stefano et al., 2010) hanno dimostrato che la totalità dei conflitti in essere riguardanti direttamente il controllo di risorse idriche non si manifesta in azioni militari ma in tensioni politiche e instabilità nei rapporti tra stati. L’aspetto militare emerge solo in casi in cui l’acqua non sia il diretto elemento del contendere: in dette circostanze essa viene utilizzata come strumento di un conflitto armato già in corso. Un dato di fondamentale importanza, che complessivamente inquadra i conflitti per l’acqua non come conflitti armati, ma come dispute tra paesi che solo in estremi casi possono trasformarsi in guerra.

Alla luce di quanto detto si possono si può pervenire ad un elenco dei maggiori conflitti per le risorse idriche nel mondo. Essi riguardano l’approvvigionamento delle acque di alcuni dei più grandi fiumi al mondo e possono arrivare a coinvolgere un consistente numero di paesi. È questo ad esempio il caso del fiume Nilo, che bagna ben nove paesi e che rappresenta importante fonte di ricchezza per gli stessi. Altri conflitti di rilievo riguardano le acque del fiume Giordano, teatro che vede contrapposti Israele, Giordania, Siria, Libano e Cisgiordania; il Tigri e l’Eufrate, che coinvolge Turchia, Siria e Iraq; l’Indo, tra Pakistan e India, il Mekong, tra Laos, Tailandia e Cambogia (De Villiers 2003, Rusca 2004, Mauceri 2016). Ad accomunare questi conflitti, oltra all’elemento geografico di scarsità di acqua e di rischio di desertificazione, vi è l’elemento economico di paesi in via di sviluppo (tranne per il caso di Israele), e l’elemento politico di paesi in cerca di affermazione regionale sui propri vicini.

Infine, è opportuno notare come la caratteristica transfrontaliera di bacini e corsi d’acqua possa avere non solo conseguenze conflittuali ma anche possibilità di sviluppo di relazioni pacifiche tra gli stati (Petersen-Perlman et al. 2017). Ciò può avvenire costruendo spazi istituzionalizzati di dialogo e cooperazione, tramite la conclusione di trattati e la costituzione di organizzazioni internazionali ad hoc. Tuttavia, il diritto internazionale ancora fatica ad affermarsi in ambito di gestione di acque transfrontaliere: basti pensare che la “Convenzione ONU sugli dei corsi d’acqua internazionali diversi dalla navigazione” firmata nel 1997 è entrata in vigore solo nel 2014, ed il suo contenuto è basato su principi di equità enunciati nelle “Regole di Helsinki sull’utilizzo delle acque dei fiumi internazionali” elaborate dall’International Law Association nel 1966.

Prendendo in considerazione gli elementi analitici fin qui forniti, nel successivo paragrafo sarà esaminata la situazione di uno tra i più importanti conflitti per risorse idriche: quello per il fiume Nilo.

3. La contesa per le acque del Nilo

Il Nilo, come noto, è il secondo fiume più lungo del mondo con i suoi 6.853 km ed il suo bacino idrografico che, con i suoi due maggiori affluenti Nilo Bianco e Nilo Azzurro, comprende ben 11 paesi (Burundi, Ruanda, Tanzania, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Kenya, Etiopia, Eritrea, Sudan del Sud, Sudan, Egitto) molti dei quali basano le proprie economie sull’utilizzo delle sue risorse idriche. L’Egitto è storicamente uno di questi, culla di una delle civiltà più antiche e al mondo, sviluppatasi proprio intorno alle sponde di questo fiume. Un dato che non è cambiato con il tempo: per comprendere l’importanza che il Nilo attualmente riveste per l’Egitto basti considerare che la quasi totalità della sua popolazione si concentra intorno alle rive del fiume e soprattutto nel suo delta.

Per molto tempo l’Egitto è stato il paese egemone nell’area per quanto riguarda lo sfruttamento del fiume (Zeitoun and Warner 2006) rivendicando una serie di diritti storici ad esso concessi nell’ambito del vecchio sistema di protettorato britannico. I contrasti sono cominciati dopo la decolonizzazione e soprattutto in seguito all’affermazione economica e politica di nuovi attori in grado di insediare il primato egiziano. Nell’attuale fase, gli attori principali della contesa per le acque del Nilo sono, oltre all’Egitto, l’Etiopia e il Sudan, con quest’ultimo in secondo piano, che oscilla tra le posizioni dei due principali rivali.

Immagine 1: Il Bacino del fiume Nilo (Yihdego et al. 2016)

Lo sfruttamento delle acque del Nilo è stato disciplinato nel corso del tempo da una serie di trattati che hanno visto proprio l’Egitto come parte favorita. Nel 1929 la Gran Bretagna ha firmato con l’Egitto e con il Sudan allora sottoposto a condominio anglo-egiziano un trattato con il quale si assegnavano all’Egitto 48 miliardi di metri cubi l’anno di acqua e il potere di veto su qualsiasi progetto a monte del fiume. Il Sudan riceveva solo il diritto all’utilizzo di 4 miliardi di metri cubi d’acqua. Nel 1959, terminata l’influenza britannica, Egitto e Sudan firmano il Nile Waters Agreement, trattato che assegna all’Egitto l’utilizzo del 75% dell’acqua del Nilo, mentre al Sudan il restante 25%. Nessun altro paese del

bacino del fiume era stato incluso nell’accordo e a nessuno di questi erano stati riconosciuti particolari diritti, motivo per cui sorse nei paesi esclusi, e specialmente nell’Etiopia, un forte risentimento nei confronti dell’Egitto ed ispirò azioni di rappresaglia. L’imperatore etiope Haile Selassié, ad esempio, separò la Chiesa Copta Ortodossa Etiope da quella di Alessandria e diede il via a progetti infrastrutturali da realizzare lungo il Nilo (Carlson 2013).

Le relazioni tra i due paesi si fecero molto ostili all’epoca tanto che l’Egitto arrivò a finanziare i gruppi ribelli al regime etiope (eritrei e somali dell’Ogaden) provocando nel 1974 la caduta dell’impero di Selassié (Gebreluel 2014).

Nel 1999, in un tentativo di conciliare le posizioni contrastanti che stavano provocando pesanti tensioni nell’area, si dato avvio ad un processo di dialogo tra tutti i paesi del bacino del fiume con la Nile Basin Initiative, uno strumento che però non ha ancora prodotto risultati evidenti, soprattutto per le posizioni dell’Egitto, contrario a ridiscutere i suoi diritti acquisiti con i precedenti accordi (Guglielmo 2011). A conseguenza di ciò, Etiopia, Kenya, Uganda, Ruanda e Tanzania nel 2010 hanno firmato il Cooperative Framework Agreement, accordo nato in seno alla Nile Basin Initiative, che mira a sostituire il trattato del 1959 sulla base di un equo utilizzo del Nilo e dunque a ribaltare gli esistenti rapporti di forza che favorivano Egitto e Sudan (Abadir 2011). Ad alimentare maggiormente la tensione, sempre nel 2010 è giunto l’annuncio del governo etiope di procedere alla costruzione di una grande diga sul Nilo, finalizzata a fornire l’acqua e la produzione di energia necessaria per lo sviluppo del paese (Whittington et al. 2014). I lavori per la costruzione dell’infrastruttura sono cominciati nel 2011. In quegli anni l’Egitto attraversava un periodo di forte sconvolgimento interno, dovuto alle rivolte della Primavera Araba che deposero il presidente Hosni Mubarak. Nel 2013, con il nuovo presidente Mohamed Morsi la tensione con l’Etiopia raggiunse una nuova acme, tanto da spingere politici egiziani a minacciare azioni militari contro il progetto di costruzione della diga (Gebreluel 2014).

La situazione è tornata a normalizzarsi con il governo di al-Sisi che ha avviato un processo di distensione con l’Etiopia, un attore divenuto economicamente e politicamente troppo

forte nell’area da non poter essere considerato. Perciò nel 2014 è stata costituita da Egitto, Sudan ed Etiopia una commissione internazionale per analizzare gli impatti sociali, economici ed ambientali della diga. L’intenzione dei due paesi a valle era dunque divenuta quella di poter quantomeno trarre beneficio dall’infrastruttura piuttosto che bloccarla e potenzialmente scatenare gravi conflitti. La cooperazione tra le parti è continuata stabilmente finché non si è giunti nel 2015 alla firma di una Dichiarazione di Principi, confermata dal Documento di Khartoum, che salda la cooperazione dei tre stati nella costruzione della diga che infine decreta un netto riequilibrio delle forze nell’area nilotica, superando vecchi privilegi, e riconosce e incorpora i principi internazionali delle acque condivise (Salman 2016). Un segnale inequivocabilmente importante si spera giunto definitivamente a risolvere una situazione molto difficile e delicata, che poteva sfociare in avvenimenti di pericolosa conflittualità.

4. Conclusioni

In questo elaborato si è esaminato quanto l’acqua rappresenti nell’epoca attuale fonte di conflitto. La sua scarsità, la sua diseguale distribuzione geografica, nonché nuove problematiche come l’inquinamento e gli sprechi ne fanno un bene conteso, che assume preziosa importanza ai fini dello sviluppo economico e dell’affermazione geopolitica degli stati.

Si è detto di come l’acqua sia stata alla base di numerosi conflitti nella storia e di come lo sia inevitabilmente tuttora, sebbene manchi il carattere violento e militare più specifico del passato e anzi la condivisione di bacini idrici tra diversi paesi possa in verità favorire occasioni di cooperazione più che scatenare guerre. In proposito, si è esaminato il caso del Nilo.

La gestione delle acque del Nilo è un chiaro esempio di come in un’area in cui gli interessi in gioco fossero divergenti, le tensioni elevate e la possibilità di scoppio di un vero conflitto fosse assai concreta, approfittando di eventi particolarmente favorevoli e di una mutata situazione internazionale, si sia riusciti a gestire la crisi mediante il ricorso al

diritto internazionale e a soluzioni di cooperazione economica tra gli stati (Yihdego et al. 2016). Tuttavia, le incertezze sono ancora tante poiché la natura degli attori appare molto fragile, l’area risulta essere pericolosamente instabile e i cambi di regime non si presentano come ipotesi remote. Il percorso verso una pacifica gestione delle acque del Nilo sembra segnato, ma la strada è ancora lunga e faticosa.

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