Recensione di Sacha Mauro De Giovanni

Il volume pubblicato nel 2019 chiude la trilogia dei saggi dell’autore imperniati sull’evoluzione dell’uomo sul pianeta negli ultimi decenni e sugli sconvolgimenti che hanno interessato alcuni stati, dalla loro caduta alla loro rinascita. Geografo, biologo, antropologo e ornitologo, Jared Diamond è stato professore di Fisiologia all’UCLA Medical School di Boston dal 1968, di Geografia e di Scienza della salute ambientale presso l’Università della California, nonché professore di Geografia politica all’Università LUISS di Roma.

In quest’ultima opera Diamond sottolinea le analogie e le differenze tra le crisi individuali e le crisi delle nazioni, a partire dal racconto di due esperienze personali significative. Secondo l’autore, infatti, così come in un tragico avvenimento occorre agire in fretta per fornire un supporto psicologico alle persone che devono affrontare perdite dolorose e improvvise, analogamente si rende necessario per le nazioni reagire alle crisi mediante strategie di adattamento fondate su cambiamenti di tipo selettivi, mantenendo quelle che funzionano e tralasciando quelle non virtuose. Di converso, spiega l’autore, la rappresentazione della crisi per gli individui e per gli stati si manifesta con frequenza, intervalli e intensità differenti che conducono a conseguenze non comparabili.

L’indagine comparata dell’autore muove dalle crisi personali e dal riferimento alle scienze psicologiche – da cui desume dodici fattori che descrivono le condizioni di superamento o di insuccesso di una crisi – per poi giungere alla corrispondenza individuo-nazione attraverso la narrazione di specifiche crisi che afferiscono a sette grandi stati in cui Diamond ha vissuto a lungo e di cui ne parla gli idiomi. All’uopo, l’autore elenca i fattori che influenzano gli esiti delle crisi mutuati dalla sfera terapeutica ponendo in particolare l’accento sui primi quattro fattori primari fondamentali per prepararsi ad uscire da uno stato critico congiunturale, tra cui il riconoscimento dello stato di crisi; egli puntualizza che, fino a quando non si ammetterà di avere un problema, la crisi diverrà insormontabile.

Al centro del volume di Diamond vi è il racconto degli anni decisivi che riguardano le sorti e il passato di sei stati, la Finlandia (1939), il Cile (1970), l’Indonesia (1965), la Germania (1945), l’Australia (1964), il Giappone (1853); a quest’ultimo e a un’altra grande nazione, gli Stati Uniti, l’autore dedica poi un’apposita sezione del libro per affrontare il tema delle crisi in corso e di quelle che egli stesso definisce le prossime sfide globali: arsenali nucleari, cambiamenti climatici, risorse energetiche e disuguaglianze.

L’autore sostiene a più riprese che l’ammissione della crisi da parte degli individui sia un processo più semplice rispetto a quello delle nazioni, dal momento che queste fondano la loro esistenza sulla continua ricerca del parere unanime di molti e la cui soluzione al problema ricade sull’alternativa  tra negare lo stato di crisi, riconoscerlo parzialmente o sottovalutarne la gravità, in un quadro di crisi molto spesso innescato da fatti esterni.

Tra i vari scenari possibili, l’autore mette in risalto la protratta negazione della crisi della Germania nel secondo dopoguerra e dell’Australia all’inizio degli anni ’60, affrontate poi con successo da entrambe attraverso un processo lento e democratico di superamento delle consuete politiche; nel primo caso, ricorda Diamond, i tedeschi si ostinarono a negare lungamente le responsabilità per i crimini commessi dai nazisti e le gravi perdite territoriali subite; nel secondo caso, egli richiama la questione dell’autorappresentazione filo-britannica della crisi identitaria australiana.

Dall’altro punto di vista l’autore pone in evidenza la reazione di alcuni stati che hanno riconosciuto sin da subito la crisi, Cile e Indonesia, nonché il Giappone dopo l’arrivo del commodoro Perry, ma che hanno mostrato divisioni interne sulle decisioni da adottare. Per Allende e la sinistra cilena – e per i comunisti indonesiani – chiarisce infatti Diamond, bisognava riformare le istituzioni nazionali

 

al contrario delle destre, mentre in Giappone il disaccordo era tra il governo dello shogun e i riformatori anti-shogun.

Da un’ulteriore prospettiva, l’autore esamina il caso della Finlandia e della sottovalutazione iniziale della minaccia sovietica fino all’aggressione del 1939 e conclude, negli ultimi capitoli, con la negazione selettiva di Giappone (enorme debito pubblico, invecchiamento demografico e le cattive relazioni demografiche con Cina e Corea) e Stati Uniti (scarsa affluenza alle urne, disuguaglianze, calo degli investimenti in beni pubblici).

Nel suo saggio Diamond non si limita ad interrogarsi sul futuro del mondo e su quali lezioni della storia siano indispensabili per affrontare positivamente le crisi contemporanee, ma fornisce una visione sistemica a studiosi, lettori e governanti per dotarsi di quegli espedienti per resistere e adattarsi alle nuove sfide di cambiamento.