Recensione di Marino D’Amore

Edward Luttwak è un esperto di economia, politica, strategia militare e consigliere del Center for Strategic and International Studies di Washington. Nel suo libro egli analizza il termine grande strategia contestualizzato in un ambito semantico e decisionale elevato, dove i leader di uno stato, in questo caso quello romano, attualizzano iniziative politiche, militari e diplomatiche, sincretizzandole in una progettualità efficace finalizzata a una potenziale perpetuazione sociale e alla realizzazione di ambizioni nazionali sottese a delicate relazioni internazionali. Elementi che pongono in essere un legame ineludibile e dialogico con la modernità.

Tutti i grandi apparati statali della storia si caratterizzano come organismi articolati che ottimizzano risorse umane ed economiche per il raggiungimento di obbiettivi gerarchizzati secondo criteri di priorità. Secondo lo studioso americano il conseguimento, la cristallizzazione e il mantenimento di un’egemonia territoriale e politica, come quella romana, erano subordinati all’elaborazione di una grande strategia in un’ottica coerente e meramente continuativa che integrava, in modo complementare, una dislocazione di truppe mirata, impianti difensivi fissi, un’efficiente rete stradale e un adeguato sistema di segnalazione.

La tesi di Luttwak vede abdicare la fase espansionistica romana, dovuto all’incontro con popoli difficili da sconfiggere a favore di una stabilizzazione della sicurezza sociale che catalizza la vitalità economica e fortifica un sistema politico in costante evoluzione, caratterizzato da tre fasi differenti: l’espansionismo egemonico, la sicurezza territoriale, e infine, in un contesto decadente, la mera sopravvivenza dello stesso potere imperiale.

La prima fase, la difesa avanzata, coincide con il periodo che va da Augusto a Nerone ed è caratterizzato da un sostanziale e fattivo impiego delle forze militari, dicotomizzato tra controllo diretto e indiretto dei confini, realizzato attraverso l’utilizzo di 28 legioni e da una cintura di stati alleati che, in caso di necessità, sarebbero state i primi ad affrontare eventuali minacce esterne.

La fase successiva, che va da Nerone a Settimio Severo, è quella che l’autore definisce difesa di sbarramento consistente nella conquista di territori potenzialmente difendibili attraverso difese naturali e umane. Secondo il principio delle frontiere scientifiche, come Luttwak le definisce, i tratti di confine che non disponevano di difese naturali vennero dotati di fortificazioni e di truppe lungo tutta la loro estensione, in modo da proteggere il limes imperiale dalle tribù barbare, deresponsabilizzando sostanzialmente gli alleati e accentrando il compito difensivo sull’impero stesso con conseguenti ricadute economiche e sociali.

La crisi del III secolo, quando la figura dell’imperatore non più arginata dalle istituzioni repubblicane assurge a vero e proprio dominus, e il simultaneo concretizzarsi di tutte le maggiori minacce esterne dell’impero, innescò il collasso del sistema sopracitato, conducendo inevitabilmente a un ulteriore sistema difensivo quello della difesa in profondità, caratterizzato da una nuova distribuzione delle truppe e una diversa concezione delle fortificazioni finalizzate a contenere le invasioni, ma soprattutto a indirizzarle lungo vie prestabilite: in questo modo una forza militare centralizzata avrebbe potuto affrontare il nemico prima che penetrasse in profondità nel cuore dell’impero, ottimizzando numericamente il numero degli uomini impiegati e assicurando, al contempo, una difesa efficace e orientata secondo modalità multidirezionali.

Secondo l’autore gli imperatori romani agivano in uno scenario complesso in cui criticità e opportunità convivevano costantemente in un confliggente rapporto dialogico in cui la guerra era la realtà contestuale e dominante. Una realtà in cui l’opportuna utilizzazione delle risorse diventava fondamentale a causa del rapporto meccanicistico che legava il sostentamento delle truppe al carico fiscale esercitato sulla popolazione: il numero delle legioni impiegate durante le tre fasi sopracitate fu sempre intorno alle 30 unità, un limite di sostenibilità che per le ragioni enunciate non venne mai superato e che doveva essere gestito con grande oculatezza, attraverso decisioni, di natura tecnica e strutturale, dedicate, consapevoli e attentamente meditate. Fattori come la rete stradale romana, il sistema di fortificazioni e le legioni, secondo Luttwak, erano tutte componenti metonimiche, sinergiche e complementari di una grande strategia in cui il limes romano rappresentava l’attualizzazione fisica della loro costante dialettica, costituita da elementi economici, demografici e militari.