Il ruolo delle organizzazioni criminali nel traffico di esseri umani dall’Africa all’Europa. Il caso delle mafie nigeriane. Tesi di dottorato (riassunto).

Autore: Michele Carretti*

Keywords: migrations, smuggling, organized crime, TCO, Nigeria.

Abstract: La tesi prende in esame temi estremamente complessi e attuali, al centro del discorso politico e destinatari di grande attenzione da parte della ricerca. I principali tra questi temi sono le migrazioni internazionali, fenomeno epocale che in questo momento storico vede massicci movimenti di persone dall’Africa all’Europa, e la criminalità organizzata internazionale, minaccia alla sicurezza degli Stati europei. L’obiettivo di questo lavoro è fornire un’analisi oggettiva e scientifica sul legame che intercorre tra migrazioni, traffico di esseri umani e criminalità organizzata, senza pregiudizi e strumentalizzazioni, come invece avviene sovente nel dibattito pubblico, in quello politico e sui mass media. A tal scopo, si studia un caso specifico, che è quello della migrazione nigeriana verso l’Europa, indagando il ruolo delle organizzazioni criminali nigeriane in questo processo, dal paese di origine fino a quelli di destinazione, tra cui figura l’Italia.

Migrazioni internazionali: un quadro storico e teorico 

L’analisi del fenomeno migratorio è strettamente legata alla storia dell’umanità. Fin da quando l’uomo è comparso sul pianeta Terra, infatti, si è sempre spostato alla ricerca di condizioni più favorevoli alla propria esistenza. Per migliaia di anni migrare è stata parte integrante del vivere dei primi homo sapiens, un’azione necessaria all’evoluzione biologica e sociale mentre adesso, come rileva il grande demografo italiano Massimo Livi Bacci: “è ormai comune l’idea che le grandi migrazioni non siano un motore primario della società, ma piuttosto una componente anarchica del cambiamento del sociale”.

Nello studio del fenomeno migratorio, le teorie delle migrazioni si prefiggono di rispondere a pochi e semplici quesiti: chi migra, perché lo fa, da dove e per dove. Ogni teoria tenta di dare una propria risposta, che varia al variare della disciplina maggiormente presa in considerazione, dell’approccio, del livello di analisi, etc. La differenza di ricchezza tra paesi nel mondo si presenta come una prima risposta a queste domande: migrano persone overe, da paesi poveri verso paesi più ricchi. Una spiegazione valida in molti casi, ma comunque limitata, che non approfondisce vari punti e che tralascia numerosi aspetti.

La più importante categoria di teorie sulle migrazioni è di tipo economico, e si concentra fondamentalmente sull’analisi dei fattori di attrazione e di espulsione (push and pull factors) che inducono le persone a migrare. Tuttavia, è piuttosto assodato in dottrina che non sono i più poveri a partire, ma i meno poveri tra i poveri, poiché per intraprendere un viaggio che molto spesso risulta essere lungo e arduo, bisogna già essere in possesso di un certo livello di capitale economico e intellettuale, nonché di buona salute e forza fisica.

Altre teorie puntano l’attenzione su aspetti più demografici, come è il caso della teoria della “transizione demografica” elaborata da Wilbur Zelinsky. Essa individua diverse fasi storiche nella mobilità delle persone, collegate alle diverse fasi dello sviluppo economico. Un’importante distinzione teorica si rileva in base al livello di analisi, vale a dire tra il micro, il livello dell’individuo e del suo agire, e il macro, del sistema complessivo che influenza l’azione dell’individuo.

Più recentemente, si sono affermate teorie che si pongono nel mezzo di questi due livelli, con la finalità di spiegare non tanto le cause primarie che portano alla scelta di emigrare, quanto quelle che perpetuano le migrazioni già in atto. La più importante delle teorie di questo tipo è la teoria delle reti (network theory). La teoria delle reti si concentra sui legami che si costituiscono tra i migranti e i non migranti: gli amici, i parenti e i conoscenti, presenti nella comunità di origine e nel paese di destinazione.

Le teorie della migrazione, ovviamente, tentano di spiegare le migrazioni volontarie dell’uomo, le quali costituiscono solo una parte delle migrazioni internazionali, mentre continua a crescere la rilevanza di persone costrette a lasciare il proprio paese. Secondo l’UNHCR, nel 2017 sono state 68,5 milioni le persone costrette a fuggire dal proprio luogo di origine, aumentate di 2,9 milioni rispetto all’anno precedente. Questo numero comprende gli sfollati interni, o internal displaced persons (IDP), che ne costituiscono la parte maggiore, con circa 40 milioni di unità; a seguire vi sono i rifugiati e i richiedenti asilo. Questi sono i numeri delle cosiddette migrazioni forzate. Questa espressione, in realtà, indica un fenomeno molto complesso ed eterogeneo, che non trova tutti gli studiosi unanimemente concordi. In generale, si può sostenere che una migrazione forzata avviene per un motivo indipendente alla volontà del soggetto. Il punto è capire, nei vari casi, qual è volontà del soggetto, e fino a che punto i motivi che lo spingono a migrare sono indipendenti. Un’indagine che non è facile svolgere.

Volendo osservare, invece, la situazione dei bisogni dei soggetti che decidono di migrare si potrà affermare che le migrazioni volontarie, quindi economiche, si caratterizzano come un bisogno relativo, che è quello di migliorare la propria posizione individuale, mentre la migrazione forzata, derivante da guerre o persecuzioni, si caratterizza come un bisogno assoluto, quello di salvare la propria vita.

Per quanto riguarda il continente africano, le migrazioni, siano esse volontarie che forzate, sono legate a determinate aree dello stesso, attanagliate da conflitti o da crisi, o che attraversano particolari fasi storiche ed economiche, o che rispondono a delle dinamiche che tengono vivi e perpetuano i flussi, come il passato coloniale e le reti migratorie. Queste aree sono principalmente il Corno d’Africa, la regione dei Grandi Laghi, l’Africa Occidentale ed il Nord Africa. Secondo Frontex sono tre le rotte che giungono dall’Africa, su otto in tutto che portano in Europa. Si tratta della rotta del Mediterraneo centrale, che parte dalla Libia e arriva in Italia e a Malta; la rotta del Mediterraneo occidentale, che dal Marocco arriva in Spagna attraverso lo Stretto di Gibilterra; e la rotta africana occidentale, che dalle coste di Marocco, Senegal e Mauritania giunge fino alle Canarie.

Criminalità organizzata transnazionale e traffico di esseri umani

Essendo le migrazioni, come detto, una delle attività tipiche degli esseri umani, nonché una necessità, allorquando vi sia la presenza di condizioni che costringono a fuggire da contesti pericolosi, esse si prestano facilmente all’interesse spregiudicato di soggetti criminali che ne intravedono chiare opportunità di profitto. In merito, è necessario definire i concetti ed elaborare una opportuna distinzione terminologica tra “traffico” e “tratta” di esseri umani. Il traffico di esseri umani (in inglese smuggling) è definito nel “Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria” alla Convenzione ONU contro il crimine organizzato transnazionale del 2001. Per traffico di esseri umani si intende l’attività di “procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente”. In Italia quest’attività è conosciuta come “favoreggiamento all’immigrazione clandestina” e costituisce un reato ai sensi dell’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione del 1998 così come modificato dalla legge 189 del 2012.

La tratta di esseri umani (inglese human trafficking) è definita dal “Protocollo contro la tratta delle persone” della stessa Convenzione Onu come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento o l’accoglienza di persone con la minaccia di ricorrere alla forza, o con l’uso effettivo della forza o di altre forme di coercizione, mediante il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di autorità o una situazione di vulnerabilità, o con l’offerta o l’accettazione di pagamenti o di vantaggi al fine di ottenere il consenso di una persona avente autorità su di un’altra ai fini dello sfruttamento. Lo sfruttamento include, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione di altre persone, o altre forme di sfruttamento sessuale, lavori o servizi forzati, schiavismo o prassi affini allo schiavismo, servitù o prelievo di organi”. Si tratta di una definizione molto ampia e particolareggiata, che sottolinea l’impegno internazionale nel contrasto al fenomeno. In Italia la tratta di esseri umani è un reato punito ai sensi dall’articolo 601 del codice penale.

La linea che separa i due concetti di traffico e tratta di esseri umani può essere molto labile, poiché un percorso iniziato con il solo attraversamento irregolare delle frontiere può trasformarsi in sfruttamento e riduzione in schiavitù nel paese di arrivo a causa della condizione di vulnerabilità del migrante, che lo portano a cedere in circuiti di assoggettamento.

Per quanto riguarda, invece, la criminalità organizzata transnazionale (in inglese TCO, Transnational Crime Organizations), non c’è ancora una visione condivisa del fenomeno tra accademici ed esperti del settore. Ciò si evidenzia nel fatto che non esiste una vera ed un’unica definizione di TCO, né sotto il profilo accademico e né sotto il profilo giuridico del diritto internazionale. Nella Convenzione contro la Criminaltà Organizzata Transnazionale del 2000 non emerge una vera definizione di criminalità organizzata transnazionale, ma si rilevano due separate definizioni, l’una riguardante cosa sia un gruppo criminale organizzato e l’altra cosa sia un’attività criminale transnazionale. Ciò è alla base di un nodo teorico non ancora totalmente sciolto: vale a dire se effettivamente esistano gruppi criminali transnazionali o se piuttosto si verifichino attività criminali transnazionali condotte da gruppi nazionali diversi più o meno in sodalizio tra loro.

Il fenomeno della criminalità organizzata transnazionale in Africa si intreccia profondamente con la geografia e la politica del continente. In particolare, ciò avviene per via della mancanza di radicamento del concetto di confine, elaborato secondo le logiche europee, e per via della debolezza del soggetto Stato, altro concetto non tipico della storia africana ed importato dall’Europa. Proprio per queste caratteristiche è difficile applicare il concetto di TCO al contesto africano. È stato rilevato, infatti, che, sebbene la presenza di organizzazioni criminali e di attori criminali in genere sia senz’altro evidente, la mancanza di una vera dualità tra Stato e soggetti non statali non rende propriamente utile il ricorso a questo concetto.

Il fenomeno del traffico di esseri umani dall’Africa all’Europa è in notevole aumento negli ultimi anni ed ha dato vita ad una vera e propria e industria illegale che lucra sui movimenti di centinaia di migliaia di persone che, spesso, sono ignare delle difficoltà del viaggio e di quello che troveranno nel paese di arrivo. Secondo l’OIM tra il 2015 e il 2017 circa 1,6 milioni di persone hanno raggiunto le coste europee mediterranee in maniera irregolare tramite le tre principali rotte (Occidentali, Centrale, Orientale). Nel suo complesso, il fenomeno è pienamente considerato secondo un approccio economico, in quanto funziona attraverso un meccanismo di incontro tra domanda e offerta, ma non solo: vede la presenza di attori che si adattano al contesto, che si riorganizzano in base alle difficoltà incontrate, che si dividono in maniera rigorosa le fasi del processo costituendo una vera e propria filiera della migrazione irregolare.

La zona trans-sahariana è il luogo geografico dove si concentrano gli attori ed i processi di questo fenomeno, ed è un passaggio obbligato per tutti i migranti che giungono dall’Africa sub-sahariana, e per gli stessi migranti che provengono da paesi di questa stessa area. Per quanto riguarda gli attori, è necessario puntualizzare il profilo dei trafficanti, o meglio dei soggetti che dal lato dell’offerta provvedono ai servizi per la migrazione illegale. Ce ne sono di diversi, tutti fanno parte di una filiera lungo la quale è diviso il lavoro, e spesso risulta difficile inquadrarli in una categoria ben definita. Sono stati identificati nello specifico due categorie di ruoli tra chi attua il traffico di migranti: si tratta degli “organizzatori” e degli “aiutanti”. I primi sono individui che danno ordini ma non li ricevono; risultano essere in una posizione centrale e da loro dipendono le decisioni organizzative più importanti. I secondi, invece, sono individui che ricevono ordini e dipendono dagli organizzatori.

Per quanto riguarda le procedure attraverso cui si attuano i traffici, si può innanzitutto guardare a come avvengono i primi contatti tra i migranti e i trafficanti. I migranti possono essere individuati direttamente dai trafficanti, oppure possono essere i trafficanti ad essere cercati dai migranti. Ad ogni modo, ciò che maggiormente si può rilevare è una situazione intermedia, dove trafficanti (o facilitatori) e migranti si incontrano ognuno perseguendo i propri scopi. Ad esempio, per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo Centrale, migranti e chasseur si incontrano ad Agadez, una città del Niger che i migranti provenienti dalla Nigeria e da altri paesi del golfo di Guinea raggiungono facilmente con bus di linea. E’ da qui che comincia il vero e proprio traffico.

L’Ovest dell’Africa è un’area del continente da dove attualmente proviene il numero più alto di migranti in Europa, dove i flussi sono fitti e consistenti, i traffici sono tra i più articolati ed organizzati al mondo, gli attori sono numerosi ed eterogenei, e nel complesso il fenomeno è di dimensioni preoccupanti sia per la sicurezza dei paesi di destinazione che per quelli di transito. In Nigeria, paese che alimenta in modo consistente il traffico di migranti verso l’Europa lungo la rotta del Mediterraneo Centrale, i traffici partono dal Sud del paese per raggiungere il Niger e quindi Agadez. Dal Sud della Nigeria, in particolare dall’Edo State e dalla città di Benin City, si registra un gran numero di partenze. Ciò è dovuto al fatto che in questa zona, per via della presenza di numerose organizzazioni criminali ben strutturate e radicate, trova sede una vera e propria industria delle migrazioni dedita alla falsificazione dei documenti e all’organizzazione di viaggi per l’Europa, dietro finte promesse di lavoro, per le tante persone desiderose di migliorare le proprie condizioni di vita.

Infine, vi è il profilo dei migranti. Innanzitutto bisogna distinguere tra chi utilizza i servizi di attraversamento irregolare, quindi di traffico, e chi si trova all’interno di un circuito di tratta, vedendo protratto il legame con i trafficanti anche nel paese di destinazione. In quest’ultimo caso le vittime sono persone molto vulnerabili, poveri, giovani, senzatetto, analfabeti, disoccupati e marginalizzati, nonché migranti irregolari ed in altre situazioni di crisi. In generale, per quanto riguarda i migranti che usufruiscono di servizi di traffico, si tratta in prevalenza di uomini disoccupati o sottoccupati, che lasciano il paese di origine per raggiungere conoscenti, familiari o comunità nazionali nei paesi di destinazione alla ricerca di migliori condizioni socio-economiche. Da un monitoraggio dei flussi migratori in Niger, l’OIM ha registrato che la quasi totalità dei migranti transitati sono adulti in età lavorativa di sesso maschile. Vi è anche una piccola quota di minori, molti di loro non accompagnati.

Le politiche di contrasto al traffico di esseri umani

Il traffico di esseri umani non è un fenomeno nuovo, tuttavia è stato normato a livello internazionale in tempi recenti. Il Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria, che completa la Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale, è stato adottato nel 2000. Il traffico di esseri umani è perciò definito all’articolo 3 del Protocollo come “il procurare, al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale, l’ingresso illegale di una persona in uno Stato Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente”. Da questa definizione si evince come il traffico non sia la mera azione di attraversamento illegale dei confini di determinati paesi, ma l’insieme delle procedure di offerta di questa azione. È questo insieme, infatti, che il Protocollo intende colpire, mentre lascia libertà agli Stati su come e se punire l’attraversamento illegale, che nella generalità vede maggiormente protagonisti i migranti più che i trafficanti. In questo punto già si coglie il senso del Protocollo, che è quello di punire i trafficanti senza però offrire particolare tutele ai migranti.

Diritti umani e lotta al traffico di migranti trovano nel Protocollo del 2000 un difficile rapporto. Se alcuni diritti inalienabili come quello alla vita e quello del divieto di trattamenti inumani e degradanti sono esplicitamente garantiti nel testo, vi possono essere casi in cui una particolare azione di contrasto ai traffici di esseri umani da parte degli Stati vada indirettamente a violare il rispetto di tali diritti.

Rimane emblematico in proposito il caso, nel 2009, di un respingimento da parte delle autorità italiane di circa 200 migranti a bordo di tre imbarcazioni nel Canale di Sicilia per il quale l’Italia è stata condannata nel 2012 dalla Corte Europea dei Diritti Umani non in violazione del Protocollo contro il traffico di esseri umani, ma in violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cui la suddetta Corte è organo di controllo.

Un rapporto problematico si rileva anche con il diritto d’asilo internazionale. Il traffico di migranti è di frequente connesso a situazioni di persone in fuga da guerre, persecuzioni, torture ed altri gravi violazioni dei diritti umani. Per molte di loro, le attività dei trafficanti possono rappresentare l’unico modo per evitare violenze e morte. Secondo l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR nell’acronimo inglese), il Protocollo contiene numerose previsioni che possono avere un impatto negativo sui richiedenti asilo, come ad esempio la possibilità di intercettare imbarcazioni in mare, l’obbligo di rafforzare i controlli e di adottare sanzioni nei riguardi di navi commerciali, o l’impegno ad accettare il rientro dei migranti entrati irregolarmente.

A quasi vent’anni dalla sua adozione, il Protocollo contro il traffico di migranti via terra, aria e mare non ha portato ai risultati sperati. Anzi, secondo alcuni commentatori ha sortito effetti contrari. Infatti, le misure di rafforzamento dei controlli ai confini, insieme alla già diffusa esiguità di canali legali per l’immigrazione, paradossalmente aumentano la rilevanza e accrescono i profitti dei trafficanti, che si ritrovano ad essere gli unici attori capaci di assicurare possibilità migratorie.

Il Protocollo Onu contro il traffico di esseri umani del 2000 ha dato poi impulso alla creazione di altri strumenti normativi a livello regionale per il contrasto di tale fenomeno. Una delle azioni più incisive, in un insieme di azioni internazionali comunque poco rilevanti, è stata quella europea. Nel 2015, l’Unione Europea, in piena crisi migratoria, ha predisposto l’Agenda Europea sulla Migrazione, Si tratta di un documento programmatico della Commissione che aveva come obiettivo quello di indirizzare l’azione politica di Parlamento e Consiglio, prevedeva azioni immediate ed azioni più a lungo termine per fronteggiare l’intera questione delle migrazioni internazionali verso l’Europa. L’azione dell’Unione Europea di carattere non immediato prevista nell’Agenda Europa sulla Migrazione si basa su tre diversi ambiti: la dimensione interna, le frontiere esterne e i paesi di origine o di transito dei flussi. Questi tre ambiti ricomprendono i quattro pilastri di azione dell’Ue espressamente enunciati nel documento: la riduzione agli incentivi alla migrazione irregolare (che ricade nell’azione rivolta ai paesi di transito e di origine); la gestione delle frontiere (che ricade, appunto, nell’ambito relativo alle frontiere); una politica comune di asilo forte e una nuova politica di migrazione legale (che rientrano nelle azioni di dimensione interna).

L’Unione Europea, sempre nell’ambito di un rafforzamento delle frontiere, ha lanciato l’operazione Eunavfor Med – Sophia (European Union Naval Force in the South Central Mediterranean), avviata dal Consiglio europeo nel 2015, in contemporanea con l’Agenda, e a guida italiana. La missione ha lo scopo diretto di contrastare il traffico di esseri umani “adottando misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti”. Le missioni Frontex e la missione Eunavfor Med–Sophia, con la prima volta al pattugliamento delle frontiere marittime esterne dell’Unione e con la seconda avente il compito di ispezionare, sequestrare e distruggere le navi dei trafficanti, sono quindi il simbolo di una reazione securitaria dell’Unione che in realtà poco ha conseguito nella lotta contro le reti criminali transnazionali. Paradossalmente, secondo alcune rilevazioni, la chiusura dei confini esterni, in combinazione con l’assenza di altri effettivi canali legali per entrare in Europa se non quello offerto dal diritto d’asilo, ha contribuito alla crescita, più che alla diminuzione del traffico di esseri umani, della tratta e delle morti in mare.

Sul fronte del Mediterraneo Centrale, il contrasto ai trafficanti, con il lancio di diverse missioni navali, ha fatto segnare risultati modesti, ed infatti gli arrivi di migranti in Europa nel 2016 e 2017 hanno raggiunto picchi mai visti in precedenza. La forte riduzione dei flussi lungo questa rotta si è invece avuta con particolari azioni condotte dall’Italia, consistenti in politiche di esternalizzazione e di securitizzazione, grazie alle quali è riuscita a ridurre notevolmente gli arrivi di migranti negli ultimi due anni, anche se risultano sostanzialmente scarsi i risultati contro le reti criminali dei trafficanti, che infatti continuano ad operare nel continente africano.

Per lungo tempo l’impegno dell’Italia nel contrasto al traffic di migranti si è svolto nel quadro dell’azione europea ed internazionale ed europea. Dopo il 2016, anno di arrivi record di migranti in Italia, il 2017, complice l’insediamento di un nuovo governo, è stato un anno di svolta per la politica migratoria esterna dell’Italia. Con l’accordo UE-Turchia che ha praticamente chiuso la rotta balcanica, l’azione del governo italiano ha tentato di replicare questo risultato guardando all’Africa. Nel febbraio 2017 è stato siglato tra Italia e Libia un memorandum “sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere”.

L’accordo si è tradotto in un forte sostegno dell’Italia alla Guardia Costiera libica, sotto forma di mezzi e di addestramento. L’intento dell’Italia era quello di potenziare i controlli delle autorità libiche nei confronti dei flussi irregolari di persone per impedire che questi si spingessero nel Mediterraneo. L’affidamento alla Guardia Costiera Libica ha però portato a risultati alterni, presentando un’efficacia che rimane ancora dubbia, in quanto nelle stesse autorità libiche si ritrovano ad operare soggetti coinvolti a vario titolo nel traffico.

Il governo italiano si è mosso anche nel Sud della Libia, nel Fezzan, intervenendo in un altro punto strategico della rotta dei migranti del Mediterraneo Centrale. Qui, l’intento dell’Italia era raggiungere accordi con le diverse comunità dell’area, divise ed in contrasto tra loro, le quali rivestono un importante ruolo nella gestione del traffico. L’operazione italiana è stata portata avanti formalmente come progetto di pacificazione delle parti coinvolte, condotto attraverso l’organizzazione di diversi incontri in Italia con i relative rappresentati politici. Le misure del governo italiano hanno interrotto i flussi migratori nei percorsi di transito, tuttavia, non hanno bloccato i flussi dai paesi di origine e pertanto i migranti che percorrono le rotte gestite dai trafficanti rimangono bloccati in Libia, trattenuti in centri di detenzione governativi o in centri non ufficiali gestiti dalle milizie libiche, subendo in molti casi severe violazioni dei diritti umani.

Per quanto attiene le politiche di contrasto al traffico adottate dai paesi africani, il tema della migrazione e di tutti i suoi risvolti problematici sono affrontati nel continente in tre diversi livelli: regionale, sub-regionale e nazionale. In proposito è opportuno notare come l’Africa sia stato il primo continente a sviluppare una legislazione specifica sul diritto di asilo con la promulgazione nel 1969 della Convenzione africana per il problema dei rifugiati e la Convenzione per l’assistenza agli sfollati interni da parte dell’allora Organizzazione per l’Unità Africana. Per quanto riguarda il contrasto al traffico di migranti, invece, è proprio nell’attività dei singoli Stati che vanno ricercati effettivi interventi.

L’azione del governo nigeriano si è concentrata in particolare nel contrasto alla tratta di essere umani, fenomeno che colpisce fortemente il paese. Il primo strumento adottato è stato il Trafficking in Persons (Prohibition) Law Enforcement and Administration Act del 2003, poi modificato nel 2005. La legge ha creato un’apposita agenzia nazionale, la National Agency for the Prohibition of Trafficking in Persons and Other Related Matters (NAPTIP), operante sotto il ministero della Giustizia, e dedicata all’investigazione e ai procedimenti contro i trafficanti, alla tutela delle vittime. Nel marzo 2015 è stato adottato l’Anti-Trafficking Act che ha sostituito la precedente legge del 2003.

Nel 2015 il governo nigeriano ha adottato un piano nazionale per la migrazione, che affronta anche il tema del traffico e della migrazione irregolare da e per il paese. Ciò è avvenuto grazie al supporto dell’OIM e dell’UE. Il piano sancisce come obiettivo quello di eliminare la tratta di esseri umani, il traffico e ogni altra forma di abuso e crimine legato alla migrazione, nonché l’eliminazione di ogni forma di sfruttamento di nigeriani migranti in patria o all’estero. A tal fine il documento identifica nelle organizzazioni criminali internazionali uno degli attori principali alla base del problema.

Passando al Niger, esso non è primariamente un paese di origine dei migranti, è invece un paese di massiccio transito dei flussi provenienti soprattutto dall’Africa Occidentale. L’OIM stima che nel 2016, anno di picco dei flussi, siano stati 333 mila i migranti che hanno attraversato il confine settentrionale del Niger con la Libia. Il 26 maggio 2015 è stata infatti promulgata la legge 36 relativa al traffico illecito di migranti. Tale legge criminalizza il traffico di migranti e prevede pesanti sanzioni per i trafficanti, con pene detentive che vanno dai 5 a 10 anni ed un’ammenda da 1 a 5 milioni di franchi CFA per chiunque favorisca l’ingresso o l’uscita illegale dal paese di persone che non siano cittadine del Niger o residenti permanenti. Il governo ha previsto inoltre pene severe anche per gli altri attori della filiera, da chi provvede alla falsificazione dei documenti a chi provvede mezzi per il soggiorno illegale nel paese.

Criminalità’ e traffico di migranti in Nigeria 

La Nigeria, con circa 200 milioni di abitanti, è il paese più popoloso dell’Africa ed è tra i 10 più popolosi al mondo. Consta di 36 Stati federati, più il territorio della capitale federale, Abuja, ed in tutto comprende circa 250 etnie diverse. Si estende su una superficie di 923.763 km2, occupando una consistente parte del territorio dell’Africa Occidentale che si affaccia sul golfo di Guinea. È una repubblica federale presidenziale che dopo decenni di instabilità e guerra ha conosciuto una transizione democratica di un certo successo, se paragonata al resto delle esperienze africane. È un paese ricco di risorse minerarie, specialmente di idrocarburi, la cui estrazione e raffinazione rappresentano la fondamentale fonte di ricchezza per il paese. Già successivamente all’indipendenza i proventi dall’industria petrolifera hanno contribuito alla robusta crescita crescita del paese, ostacolata soltanto dalla guerra civile e dai regimi autoritari che si sono susseguiti negli anni. Le risorse del paese sono state definite con la famosa espressione “torta nazionale” (national cake) ad indicare l’elevato interesse che suscitavano e la tendenza ad una logica spartitoria delle stesse. Nonostante un’economia in crescita e la presenza di ricchi giacimenti petroliferi, la Nigeria è un paese di forti diseguaglianze e di povertà diffusa. Nel 2010 si calcolavano 112 milioni di persone in situazione di povertà, le quali costituivano il 69% della popolazione totale, rappresentando una enorme contraddizione in un paese che negli anni 2000 aveva sperimentato una massiccia crescita, pari al 7% annuo medio.

Nonostante le enormi potenzialità, la Nigeria presenta alcuni problemi profondi che sono di grande ostacolo allo sviluppo economico e democratico del paese. Principalmente essi sono: la forte frammentazione sociale, la corruzione della classe politica e burocratica e la recente minaccia fondamentalista islamica. Le riserve petrolifere giocano un ruolo fondamentale nel determinare disuguaglianze di carattere economico e sociale tra il Nord ed il Sud del paese, andando a beneficio del Sud, dove sono presenti i giacimenti petroliferi, precisamente nella zona del Delta del Niger.

Altro problema che riguarda la Nigeria in generale è l’elevato livello di corruzione nel settore pubblico. La storia della Nigeria è caratterizzata fin dall’inizio da una gestione cleptocratica del potere, soprattutto durante le dittature militari. Interesse pubblico ed arricchimento privato hanno cominciato a sovrapporsi pericolosamente tra fine degli anni ‘60 e gli anni ‘70, alimentate dal boom petrolifero.

La criminalità organizzata in Nigeria è un fenomeno che è cresciuto in maniera notevole negli ultimi tempi, in quanto a dimensioni e pericolosità, aiutato dalla globalizzazione e dalle opportunità di profitto, di collegamenti e di conoscenze, che questa offre. Attualmente, secondo alcuni commentatori, la criminalità organizzata è più pericolosa persino del terrorismo di Boko Haram, in termini di danni all’economia, alla società, e alla sicurezza fisica delle persone

Le organizzazioni criminali nigeriane da un lato appaiono estremamente specializzate nell’attività che conducono, ma dall’altro possono gestire più attività criminali allo stesso tempo. Inoltre, sono molto flessibili, in quanto possono passare da un’attività all’altra molto facilmente, adattandosi alle esigenze del mercato. Il traffico di droga risulta essere uno dei mercati illegali più consistenti e proficui. La Nigeria non è un grande paese produttore di droga, tuttavia è al centro del traffico. Ciò è dovuto alla sua posizione geografica, che le consente di convogliare i traffici provenienti sia dal Sudamerica che dall’Asia e di dirigerli verso i paesi dell’Europa, grandi consumatori. Le organizzazioni criminali nigeriane si sono inserite perfettamente in questo meccanismo, mantenendo un basso profilo che le ha permesso di avere successo.

Oltre alla varietà di attività compiute, ciò che rende la criminalità organizzata nigeriana particolarmente forte e pericolosa è la sua radicale diffusione all’estero. I gruppi criminali nigeriani hanno infatti ramificazioni in tutto il mondo Occidentale, in Europa, in Russia, nel Sud Est e nel Sud Ovest asiatico, in Australia e negli altri paesi africani, presentando un grado di pervasività superiore a quello di qualsiasi altra organizzazione criminale.

I gruppi criminali nigeriani sono un ottimo esempio di organizzazione secondo un modello a rete. Questo li distingue dai modelli organizzativi gerarchici tipici della criminalità italiana o cinese. Questa strutturazione e queste capacità si sposano benissimo con il traffico di esseri umani, un’attività che risponde a specifiche condizioni ambientali e sociali. Il traffico di esseri umani, infatti, prevede reti flessibili e adattive in grado di affrontare un mercato caratterizzato da scenari in rapida evoluzione e grande insicurezza.

I culti tradizionali le società segrete hanno un ruolo importante nel settore della criminalità organizzata. La Nigeria è molto famosa per le religioni tradizionali che, nonostante la maggioranza di credenti cristiani e musulmani continuano ad essere praticate in maniera sincretica sia dagli uni che dagli altri. I culti tradizionali come il juju devono la loro diffusione ed il loro mantenimento in una società modernizzata come quella nigeriana grazie alle società segrete e alle confraternite universitarie, di cui la Nigeria pullula. Le Università nigeriane sono famose per le loro potenti e violente confraternite, associazioni di studenti nate inizialmente per promuovere gli interessi della categoria studentesca, ma poi diventate centri di potere e di interessi criminali. Nella loro evoluzione le confraternite sono divenute delle vere e proprie organizzazioni criminali dedite a svariate attività illecite quali rapine ed estorsioni.

La geografia del traffico di esseri umani in Nigeria si sviluppa lungo la rotta Sud-Nord, che parte cioè dagli Stati più ricchi, più modernizzati e più popolosi del Sud per raggiungere punti di snodo nel Nord e continuare il viaggio verso il Niger dove il vero viaggio illegale ha inizio, raggiungere la Libia e da qui infine intraprendere (eventualmente) il viaggio in barca che porterà i migranti in Europa sulle coste principalmente italiane o maltesi.

La criminalità organizzata nigeriana ha da diverso tempo cominciato ad affermarsi anche in Italia. Qui è molto attiva nel mercato della migrazione irregolare, ma continua comunque ad operare in maniera significativa nel traffico di droga, oltre a dedicarsi a truffe ed estorsioni. La criminalità organizzata nigeriana si è insediata in Italia attraverso la tratta di donne destinate alla prostituzione fin dalla seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso. Nel corso degli anni, le organizzazioni criminali nigeriane si sono sempre più integrate nel tessuto criminale del territorio di insediamento, specializzandosi in vari settori criminali ed assumendo, talvolta, modalità operative tipicamente mafiose.

Infine, si rilevano importanti legami tra le organizzazioni criminali nigeriane e le mafie italiane. Ciò si è reso necessario per l’insediamento su un territorio dove già insistono numerose mafie che gestiscono perlopiù le stesse attività. Il traffico e la tratta di esseri umani sono alcune tra le attività cui le organizzazioni si dedicano, aumentate di rilevo in seguito alla crescita della domanda migratoria dei paesi dell’Africa subsahariana. Tuttavia, la presenza della criminalità organizzata nigeriana in Italia si registra molto tempo prima dei massicci flussi migratori che hanno investito l’Europa negli ultimi anni. Il nesso tra criminalità organizzata e immigrazione è da intendere nel senso che le organizzazioni criminali si nutrono delle migrazioni per poter fare affari, e non, viceversa, che l’immigrazione nutre la criminalità organizzata.

Selezione bibliografica  

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*dottore di ricerca in Geopolitica e Geoeconomia presso l’Università “Niccolò Cusano” di Roma