Recensione di Niccolò Inches

Maria Giuseppina Lucia, docente di Geografia economica presso l’Università di Torino, e l’esperto di network economy Luca Simone Rizzo sono i curatori di questo volume che sintetizza e assembla i principali assi di ricerca dei due curatori: relazioni tra spazio geografico e finanza, geografia culturale tra turismo e ambiente. Il fil rouge che accomuna gli interventi ospitati nel libro, redatti da accademici italiani e stranieri attivi nel campo della geografia e dell’economia, è una presa d’atto della circostanza che la crisi finanziaria scoppiata in Europa nell’ultimo decennio ha indebolito la già approssimativa governance dell’Unione (già in difetto di un’effettiva unità politica), dato ancor più flagrante se si considera l’aspetto scalare dell’impatto del fenomeno, che finisce per tradursi in disparità territoriali e, in ultima istanza, in una generale cacofonia economica europea entro un’orchestra di interdipendenza globale. La precarietà dell’Europa riflette altresì la perdita progressiva dei punti di riferimento del Dopoguerra: una moneta egemone (il dollaro), braccio secolare di un’America protettiva dal punto di vista militare, culturale e bancario, che diventa fluttuante e risente dell’indebitamento statunitense e dell’ascesa di un gigante manifatturiero come la Cina. Deregulation si è fatto allo stesso tempo mantra politico per i policy maker e parola chiave per interpretare la liquidità dei mercati e degli scambi commerciali, ormai privi di confini. Laddove la geografia fisica scompare poco a poco dal campo economico, provocando la proliferazione e la de-spazializzazione dei rischi del settore, la geografia economica intesa come disciplina è destinata d’altro canto a rifiorire, per via della (necessaria) analisi della crisi su scala regionale. Nell’arco dei commenti raccolti nel volume, l’accento viene dunque posto sui geographical features, elementi e fattori locali e territoriali che assumono una dimensione rilevante nell’interazione con lo scenario globale, ad esempio in considerazione dei flussi di investimento esteri (FDI).

Da questo punto di vista, l’opera si articola in tre sezioni: nella prima, ci si sofferma sulle divergenze intra-regionali europee in termini di capitale netto, bilancia commerciale e debito sovrano – si pensi alla forbice che separa i paesi del Mediterraneo o i celebri PIIGS dalla Germania – in un quadro ossimorico di unione disomogenea sul piano delle politiche fiscali e più in generale rispetto al principio della ‘sovranità condivisa’; la seconda sezione si concentra sul tema dei flussi di credito e del ruolo del sistema bancario, ponendo in evidenza sia la necessità di una coordinazione globale ad assicurare trasparenza e stabilità, che di un rinnovato legame tra sistemi territoriali e politiche di credito e investimento, rispetto alle quali sussiste allo stesso modo un gap di tipo territoriale, sul modello delle disparità tra Nord e Sud d’Italia; nella terza si analizzano le ricadute della crisi finanziaria sul tessuto sociale e di conseguenza sulla reale armonizzazione in senso comunitario dei popoli europei. A tal proposito, le sperequazioni in termini di ricchezza, le sacche di disoccupazione e i fenomeni di ‘esclusione’ (quanto alle sfere di reddito, accesso ai servizi, relazioni ecologiche, partecipazione) sono amplificate dall’irrisolto décalage tra realtà urbane e rurali – soprattutto alla luce della tendenza alla ‘metropolizzazione’, nella misura in cui le città costituiscono la cartina di tornasole delle diseguaglianze – e investono ambiti di studio come i flussi migratori e le dinamiche demografiche, aventi effetti sul mercato del lavoro.

Eventi come la fine degli accordi di Bretton Woods negli anni ‘70, l’ingresso della Cina nella World Trade Organization financo la bolla speculativa del 2008 hanno rappresentato momenti di cesura in un Occidente abituato a determinati standard di benessere. Le crisi hanno messo a nudo le carenze di governance al tempo della Globalizzazione, nonché il deficit strutturale europeo in termini di integrazione e coesione: sebbene il Trattato di Lisbona (2007) avesse riconosciuto quest’ultima come valore fondamentale per le comunità europee, la fase di implementazione resta dominio di responsabilità dei singoli membri. L’ineluttabile divide interstatale si innesca su un terreno già minato dal processo di delocalizzazione avviato negli ultimi decenni. La dispersione geografica delle attività industriali e di investimento ha spezzato, del resto, la catena comunitaria che consentiva una sorta di trusteeship tra agenti del credito e attori del ceto produttivo, preludio al conclamato divorzio tra economia reale e finanziaria. Ecco perché un ‘approccio geografico alla crisi’ si rivela ineludibile nell’interpretazione di distorsioni e complessità del mondo contemporaneo