di Vincenzo Sacco

Il fenomeno migratorio in Australia

Per più di due secoli, l’immigrazione estesa ha sostenuto lo sviluppo economico e sociale in Australia. Dall’inizio dell’insediamento europeo alla fine del diciottesimo secolo, travolgendo la popolazione indigena, l’immigrazione ha svolto un ruolo importante nella crescita della popolazione australiana. Tra la fine della seconda guerra mondiale ed il 2016, la popolazione australiana è più che triplicata, passando da 7,4 milioni a 24,2 milioni. Il 28% dei residenti australiani nel 2016 è nato all’estero, la quota maggiore da oltre 120 anni. Aggiungendo quelli con almeno un genitore nato all’estero, quasi la metà della popolazione è immigrata o progenie di immigrati (Australian Government Bureau of Statistic e Department of Immigration and Border Protection, 2017).

L’Australia ha sempre considerato l’immigrazione come un importante progetto di costruzione della nazione ed il governo del paese ha elaborato e condotto nel tempo politiche di ingresso e selezione arrivando anche a fornire assistenza finanziaria per incoraggiare il fenomeno. Uno dei cambiamenti più significativi della politica migratoria del paese è stato lo spostamento dal trattamento preferenziale dei migranti britannici verso una politica di selezione non discriminatoria nell’ultima parte del ventesimo secolo, unitamente alla crescente enfasi sui criteri di selezione economica sia per i migranti permanenti che temporanei, a spese della migrazione familiare permanente, che è stata al centro del programma di migrazione fin dal 1800.

Tuttavia, negli ultimi tre lustri, l’attenzione politica interna ed internazionale si è ampiamente concentrata sui richiedenti asilo che hanno tentato di entrare nel paese illegalmente via mare. Un gran numero di richiedenti asilo è arrivato per la prima volta nel paese a metà degli anni settanta, dopo la fine della guerra in Indocina, ma il dibattito contemporaneo sulle politiche immigratorie nel paese parte dagli inizi del nuovo millennio con l’introduzione della cosiddetta Pacific Solution.

Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, crescevano nel paese le preoccupazioni per la concorrenza nel settore aurifero minerario e le altre potenziali minacce alla forza lavoro domestica rappresentate da manodopera migrante a basso salario proveniente dall’Asia e dalle Isole del Pacifico. Questi fenomeni condussero, poco dopo che l’Australia divenne una federazione, all’approvazione dell’Immigration Restriction Act del 1901. Questa legge richiedeva un test linguistico europeo come mezzo per limitare la migrazione extraeuropea, riflettendo l’ostilità esistente verso i non europei e costituendo la base di quella che in seguito divenne nota come Politica dell’Australia Bianca.

Dopo la seconda guerra mondiale furono rimosse varie leggi fondamentali per le politiche restrittive, al fine di consentire a un numero crescente di immigrati non europei di stabilirsi permanentemente nel paese e la politica dell’Australia Bianca fu formalmente sostituita negli anni settanta con una selezione senza riferimento all’etnia, al genere, o alla religione. Questo spostamento ha inoltre posto fine alla selezione preferenziale e all’accesso alla cittadinanza australiana per gli immigrati britannici.

L’adozione di un approccio non discriminatorio nei confronti delle ammissioni negli anni settanta ha rimodellato il sistema di immigrazione australiano in diversi modi importanti. Oggi, i migranti sono selezionati per la residenza permanente in base ad uno dei tre motivi principali: ricongiungimento familiare, benefici economici o necessità umanitarie.

Figura 1. Confronto tra i paesi d’origine dei residenti permanenti arrivati in Australia negli anni 1972/73 e 2016/17

Fonte: Australian Government Department of Home Affairs, Historical Migration Statistic e Department of Immigration and Border Protection, Permanent Additions to Australia’s Resident Population.

Il numero di partecipanti in ciascuno di questi flussi si basa su una quota annuale determinata dopo consultazioni con i singoli Stati, gruppi di comunità e parti economiche interessate.L’unico paese i cui cittadini non hanno bisogno di un visto per entrare in Australia è la Nuova Zelanda, con la quale l’Australia ha un mercato del lavoro comune. La migrazione scorre in entrambi i modi tra i paesi in risposta al mutamento delle condizioni economiche.

Nonostante l’enorme massa terrestre del loro paese, gli australiani si sono storicamente stabiliti in forti concentrazioni sulla costa, specialmente nelle sei città capitali dei rispettivi Stati. Le due città più grandi, Sydney e Melbourne, ospitano collettivamente oltre un terzo della popolazione. Non sorprende che tali città, con le loro opportunità di lavoro e le risorse socio culturali, siano attraenti sia per gli immigrati che per gli australiani residenti. Il governo ha usato la politica sull’immigrazione come mezzo per invertire questa tendenza, assegnando punti extra agli aspiranti migranti disposti a trasferirsi nelle aree rurali, offrendo loro percorsi migliori per il riconoscimento delle loro qualifiche professionali. La presenza di un gran numero di medici di origine straniera e formati nell’Australia rurale è un risultato di tali politiche.
Il programma di ammissioni umanitarie

Dalla fine della seconda guerra mondiale, il riconoscimento delle necessità umanitarie è stata una delle tre rotte australiane verso la residenza permanente. L’Australia ha accettato un numero relativamente elevato di rifugiati, identificati per il reinsediamento dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Dalla fine della seconda guerra mondiale il paese ha reinsediato più di 880.000 rifugiati. Nel 2016-17, ha concesso 24.162 visti nell’ambito del suo programma umanitario, il più alto apporto mai registrato nel paese. In tale occasione la Siria e l’Iraq sono stati tra i principali paesi di origine dei rifugiati richiedenti asilo (Australian Government Department of Home Affairs, 2017).
L’isolamento geografico dell’Australia ha fatto sì che comunque, raramente, un gran numero di richiedenti asilo attraversasse i suoi confini senza autorizzazione ed in maniera illegale. La maggior parte dei migranti in cerca di asilo è invece entrata in Australia legalmente con visti di ingresso a breve termine. In attesa di elaborare le loro richieste i rifugiati, comunque, solo in circostanze speciali sono stati ammessi all’effettuazione di attività lavorative e di conseguenza le loro esigenze quotidiane sono state garantite da una serie di organizzazioni non governative (ONG) e comunità assistenziali. Gli studenti cinesi in Australia ai tempi del massacro di Piazza Tiananmen del 1989 rappresentano uno dei più grandi gruppi di richiedenti asilo, ottenuto con successo, in tempi recenti.
A differenza dei rifugiati che cercano protezione umanitaria dopo essere entrati legalmente in Australia, la gestione da parte del governo dei richiedenti asilo che arrivano via mare senza autorizzazione è stata sicuramente più controversa. Questo tipo di arrivi è iniziato a partire dalla prima ondata dei boat people del 1976 proveniente dal Vietnam e dall’Indocina a seguito della crisi indocinese e fu accettata nel paese anche a seguito di un furore iniziale da parte di tutte le componenti della società civile.

Un numero limitato di persone ha ripreso ad arrivare nel 1989 e questa volta nel tentativo di far fronte ai rinnovati flussi marittimi irregolari dal Vietnam, dalla Cambogia e dalla Cina, il governo del paese nel 1992 ha introdotto una legislazione che consente la detenzione dei migranti che arrivano in Australia senza preventiva autorizzazione. Negli ultimi due decenni, la politica australiana ha imposto la detenzione dei migranti arrivati via mare in centri di custodia offshore situati al di fuori del territorio australiano in altri Stati dell’Oceania e ciò ha suscitato critiche e condanne da parte di paesi alleati e organizzazioni per i diritti umani, nonché da un’ampia parte della società civile australiana. Alla fine degli anni novanta i flussi in arrivo sono improvvisamente aumentati e i paesi di origine dei rifugiati sono cambiati con provenienze da Afghanistan, Iran, Pakistan, Sri Lanka e altri paesi del Medio Oriente e dell’Asia meridionale, che hanno una quota significativa.

La Pacific Solution
Il punto di svolta nella politica migratoria australiana si è avuto nel 2001, anno dell’incidente della motonave norvegese Tampa che aveva salvato 433 afgani e iracheni da una nave che affondava. Nell’agosto di quell’anno il governo, preoccupato per l’ondata di arrivi marittimi irregolari, si rifiutò di autorizzare l’ingresso di questo mercantile norvegese nelle acque australiane di Christmas Island per far sbarcare queste persone. Dopo un periodo di tre giorni di stallo, i passeggeri del Tampa furono trasferiti su un’unità navale australiana e trasportati a Nauru, il cui governo aveva permesso all’Australia di istituire un centro di custodia per l’elaborazione offshore delle domande dei richiedenti asilo.
L’uso di centri di detenzione offshore a Nauru e poi a Manus Island a Papua Nuova Guinea è diventato noto come la Pacific Solution, in base alla quale il governo australiano ha convinto alcuni paesi principali destinatari del suo budget di aiuti all’estero a fornire strutture di custodia per gli arrivi dei migranti marittimi irregolari. Per Nauru in particolare, l’economia della piccola isola si basava principalmente sull’esportazione di fosfato, di cui era molto ricca. Alla fine del ventesimo secolo le riserve del Paese si sono esaurite e le numerose miniere di superficie hanno però devastato il terreno, rendendone incoltivabile circa l’80 per cento. La scellerata gestione dei proventi dell’estrazione dei fosfati ed il collasso dell’economia hanno poi fatto sì che il governo di Canberra diventasse il maggior contribuente degli aiuti forniti alla piccola Repubblica, innescando la trasformazione dell’isola in una sorta di protettorato australiano.
Le disposizioni sui centri di custodia offshore sono state integrate da una legislazione che ha eliminato alcune isole australiane come Christmas Island dalla Migration Zone ufficiale dell’Australia, negando così ai migranti che raggiungono il territorio dell’isola il diritto di richiedere asilo in Australia.
Tale incidente ha attirato l’attenzione internazionale sulla linea dura del governo verso le persone che navigavano in Australia dal Sud-est asiatico nella speranza di ottenere asilo. Il governo ha giustificato la sua politica di custodia obbligatoria per motivi di sicurezza nazionale. Tale politica ha goduto nel paese di un notevole sostegno da parte dei media populisti, mentre è stata contestata dai sostenitori dei rifugiati, incluse molte associazioni religiose e quelle legate alle professioni legali e mediche. I critici indicano l’abuso di donne e bambini detenuti che ricorrono all’autolesionismo nella lunga attesa che i loro casi vengano risolti e scioperi della fame e rivolte tra i migranti trattenuti in custodia. Gli oppositori criticano anche le spese associate alla custodia dei rifugiati per periodi prolungati.

La maggior parte dei richiedenti asilo è infatti trattenuta a tempo indeterminato nei centri di elaborazione offshore di Nauru e Manus Island, dove molti hanno trascorso anni in attesa che le loro richieste fossero processate. La politica di detenzione offshore ha dovuto affrontare diverse sfide legali. Nell’aprile 2016, la Corte Suprema di Papua Nuova Guinea ha stabilito che il centro di Manus Island era illegale, violando il diritto fondamentale alla libertà dei detenuti e, sebbene l’Alta Corte australiana non fosse d’accordo, il governo di Papua lo ha chiuso alla fine del 2017. La maggior parte delle persone trattenute in custodia è stata forzatamente trasferita come alternativa in alloggi sull’isola in attesa di una risoluzione finale della loro situazione.
Sebbene l’Australia abbia anche cercato di arruolare altri paesi, principalmente con economie deboli, per accettare i richiedenti asilo, questi sforzi si sono ampiamente dimostrati infruttuosi.
Come corollario di questa politica nel 2013 il governo australiano ha avviato l’operazione Sovereign Borders una strategia condotta militarmente per impedire gli arrivi di migranti non autorizzati via mare in Australia, che ha comportato anche il rimorchio delle unità intercettate con a bordo i migranti fino ai porti di partenza. A seguito di questa strategia il numero di arrivi è diminuito drasticamente nel 2013 e 2014 fino ad annullarsi nei due anni successivi. Tra alterne vicende, transizioni politiche governative, interventi della magistratura e spinte della società civile la cosiddetta Pacific Solution non appare comunque essere stata completamente superata.
Conclusioni
Considerando il ruolo centrale dell’immigrazione nello sviluppo nazionale dell’Australia, demograficamente, economicamente e socialmente, l’intensità del dibattito sugli arrivi marittimi irregolari può sembrare paradossale, dato che questi spiegano una piccola percentuale di tutti gli arrivi. Per oltre due secoli, l’Australia è diventata la casa di milioni di immigrati che hanno vissuto insieme in modo relativamente armonioso. E mentre l’Australia rimane uno dei paesi più accoglienti in termini di reinsediamento dei rifugiati, questo aspetto è stato oscurato dalla controversia relativa al trattamento degli arrivi irregolari via mare.
I dibattiti australiani testimoniano che la gestione della migrazione è raramente una questione puramente interna. Inevitabilmente implica relazioni con altri governi in grado di scoraggiare le partenze o fornire un luogo in cui i richiedenti asilo possano essere rimpatriati o reinsediati, come dimostrato dalle discussioni in Australia con i suoi vicini del sud – est asiatico. La tratta di esseri umani e le attività criminali complicano ulteriormente la definizione delle politiche regionali, soprattutto quando i richiedenti asilo provengono da paesi terzi.
Una lezione positiva che si può trarre dall’esperienza australiana è che i migranti e i rifugiati possono dare sostanziali contributi economici e sociali. Mentre la politica australiana sull’immigrazione ha favorito gli immigrati europei fino all’ultima parte del ventesimo secolo, lo spostamento negli ultimi decenni verso ammissioni diversificate ha aiutato l’Australia a diventare la nazione multiculturale ed economicamente competitiva che è oggi.

Keywords: Migrazioni, Australia, Pacific Solution

Bibliografia

Australian Government Bureau of Statistic e Department of Immigration and Border Protection, Permanent Additions to Australia’s Resident Population, 2017.
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