Recensione di Barbara Caliandro

Gilles Kepel, nato nel 1955, politologo e arabista, è professore all’Università della Svizzera italiana e direttore
del Middle East and Mediterranean Chair presso Paris Sciences et Lettres Research University, École Normale
Supérieure.

Il volume Uscire dal caos Le crisi nel Mediterraneo e nel Medio Oriente individua nelle crisi che affliggono il
Medio Oriente e il Nord Africa uno snodo centrale per comprendere talune dinamiche politiche che stanno
emergendo in Europa. L’instabilità di quei territori, i flussi di rifugiati e immigrati, con le relative sfide di
integrazione, la globalizzazione del terrorismo jihadista che dalla sponda sud del Mediterraneo arriva al cuore
dell’Europa, la prospettiva di rientro dei tanti jihadisti europei dai teatri siro-iracheni, sollecitano i sistemi
democratici degli Stati europei e favoriscono la crescita di movimenti populisti e di estrema destra.
Comprendere quanto avviene nei paesi MENA diviene essenziale in una prospettiva di politica interna, ancor
più che di politica estera.

Interrogarsi sul terrorismo jihadista propugnato dall’ISIS fra il 2014 e il 2017, scrive, obbliga a inquadrarlo in
una prospettiva storica di lungo periodo: non solo conseguenza ultima delle primavere arabe del 2011, ma
fenomeno che affonda le proprie radici addirittura nella guerra del Kippur. È nel conflitto dell’Ottobre del
1973, segnato dall’embargo petrolifero dell’Arabia Saudita ai danni degli Stati Uniti e degli amici di Israele,
che viene sconvolto l’ordine mondiale e diviene evidente come il controllo della rendita petrolifera sia oramai
il fulcro della potenza mondiale. Le petromonarchie acquisiscono consapevolezza della propria egemonia nel
mondo islamico e mirano a consolidarla attraverso la diffusione di un’ideologia conservatrice dell’Islam
wahabita, in opposizione al sufismo mistico prima, all’ideologia dei Fratelli Musulmani e allo sciismo poi.
Ed è proprio al contesto di questa lotta per il controllo dell’islamizzazione che l’autore riconduce l’emergere
del terrorismo jihadista. Osserva come la graduale islamizzazione delle società, testimoniata dall’Egitto di
Sadat e dalla guerra civile libanese, fosse giunta a una svolta cruciale nel 1979. In quell’anno l’unitarietà
dell’Islam e dell’egemonia saudita venne infatti sfidata su due fronti: dalla declinazione sciita dell’Islam
propugnata dalla rivoluzione iraniana di Khomeini da un lato e dall’interpretazione ancora più radicale
dell’Islam sunnita, manifestatasi nel sequestro della Grande Moschea alla Mecca, dall’altro. L’invasione
dell’Afghanistan islamico da parte dell’Armata Rossa fornì l’occasione per saldare gli interessi statunitensi
e sauditi, che armarono il jihad afghano con il duplice obiettivo di cacciare l’URSS e rispondere all’affronto
della rivoluzione iraniana riaffermando la primazia del salafismo sunnita sullo sciismo.

Il jihadismo è quindi da collegarsi non tanto allo scontro esterno fra Islam e Occidente, pur presente, ma al
conflitto per l’egemonia interno al mondo islamico stesso. Fenomeno di lunga durata, lo periodizza in tre
generazioni. La prima, contraddistinta dall’avere per obiettivo il nemico vicino, va dal 1980 al 1997: oltre
all’Afghanistan, ne sono teatri la guerra Iran-Iraq, il Libano di Hezbollah, l’Algeria del GIA con la prima
ondatadi terrore in Francia, l’Egitto di al-Gama’at al-Islamyya, la Bosnia e l’islamizzazione del conflitto
israelopalestinese con Hamas.

La seconda, dal 1998 al 2005, testimonia la costituzione di un fronte islamico mondiale diretto
da Osama Bin Laden e Ayman Al-Zawahiri contro ebrei e crociati, sotto il marchio Al-Qaeda: la lotta
è verso il nemico lontano e si concretizza negli attacchi alle ambasciate statunitensi in Kenya e
Tanzania, nella doppia razzia benedetta dell’11 settembre 2001 a New York e Washington, nella jihadizzazione
della Seconda Intifada, negli attentati di Madrid in risposta alla Guerra al Terrore in Afghanistan e in Iraq.
E proprio dalle ceneri della struttura piramidale di Al-Qaeda, scrive l’autore, risorge il jihadismo della
terza generazione, periodizzato fra 2005 e 2017, dalle nuove modalità operative reticolari, radicate nei
territori, che esasperano il settarismo e superano la contrapposizione fra nemico vicino e lontano. È questa
la generazione che da Abu Musab al-Suri, teorico del sistema reticolare di jihadismo dal basso, e dalla
strategia jihadista di Al-Zarqawi, con attacchi contro gli sciiti nel suo Iraq e contro i trasporti a Londra nel
2005 per mano di estremisti britannici, giunge fino alla realizzazione del Califfato ISIS a Mosul nel 2014 e
allaserie di attentati che hanno insanguinato l’Europa.

Il volume si sofferma quindi sugli eventi che agevolarono quegli sviluppi e ripercorre le diverse traiettorie
delle Primavere Arabe, evidenziandone la maggiore conseguenza di lungo periodo: l’antagonismo fra sciismo
e sunnismo.