Recensione di Carla Ottonello

Sergio Romano, vicentino, è stato ambasciatore italiano a Londra, Parigi e Mosca. Ambasciatore
presso la Nato a Bruxelles, è stato Professore di Relazioni internazionali presso l’Istituto di
Economia politica dell’Università Bocconi di Milano. Storico e giornalista, è editorialista del
Corriere della Sera e autore di numerosi libri, anche contenenti raccolte di articoli e saggi.
Il saggio analizza le forze che agitano il disordinato scacchiere internazionale attuale.
Anche attraverso la narrazione di singoli aneddoti ed attingendo alla testimonianza personale
dell’autore, traccia una mappa delle crisi mondiali, di cui propone una lettura alla luce dei giochi
di potere che hanno caratterizzato la storia recente, con uno sguardo alle prospettive future.
Nel mondo nessuna regione è risparmiata da minacce che allungano la propria portata regionale a
livello globale, laddove un clima di instabilità più o meno conflittuale rappresenta la nota
dominante da est a ovest.

Una fotografia di questa mappa mostra alcune aree e questioni che si caratterizzano in quanto più
pericolose: la minaccia nucleare mondiale tenuta viva dalla Corea del Nord; accanto al
terrorismo di matrice islamica che avvelena Medio Oriente e Nordafrica, aree dilaniate dalle
guerre e rivoluzioni, che rappresentano la pesante eredità coloniale lasciata dall’Occidente; ma
anche l’irrisolto conflitto Israelo-Palestinese; la politica espansionista cinese e russa e i difficili
rapporti con gli USA, alla luce della controversa presidenza Trump.
Un focus specifico è dedicato alle numerose crisi considerate come conseguenze della fine della
Guerra fredda, evento critico per il clima complesso di insicurezza mondiale che ne è seguito.
Si pensi alla polveriera africana, continente oggetto di importanti interessi finanziari anche in
epoca post-coloniale, che a causa del venir meno degli equilibri propri della Guerra fredda e di
una minore attenzione dimostrata dalle grandi potenze, è sprofondato in sanguinose guerre civili
che l’hanno attraversato in lungo e largo, interessando tra gli altri, il Corno d’Africa, la Sierra
Leone, il Ruanda e il Congo.

Un’altra area segnata dagli effetti negativi della fine della Guerra fredda è il Medio Oriente, in
cui colpisce la narrazione delle vicende che hanno segnato la sorte dell’Iraq di Saddam Hussein.
Dopo il lungo e drammatico conflitto con l’Iran, nel momento dell’annessione del Kuwait a cui
aspirava da vecchia data, l’Iraq si è scoperto orfano del consolidato e silenzioso sostegno, o
almeno acquiescenza, delle potenze mondiali. All’opposto, riunite in una coalizione guidata dagli
Stati Uniti, sono intervenute per bloccare il tentativo di espansione, trasformando il Paese nel
teatro della Prima Guerra del Golfo, cronologicamente primo esperimento di un nuovo modo di
combattere la guerra basato sull’impiego massiccio dell’aviazione e delle armi tecnologicamente
avanzate.

La sconfitta dell’Iraq, senza il rovesciamento del regime al potere, ha generato una crisi
altrettanto lunga, nel corso della quale l’Occidente si è avvalso di strumenti alternativi a quelli
strettamente militari, quali l’embargo economico, poi culminata nella Seconda Guerra del Golfo
dieci anni dopo.

Anche l’Unione europea è stata profondamente influenzata dalla fine della Guerra fredda, a
partire dalla quale si è andata sempre più identificando con l’intero continente europeo.
L’Unione è impegnata nel consolidamento delle sue istituzioni e dell’integrazione tra gli Stati
membri, fattori che ne rappresentano la linfa vitale.

Anch’essa, tuttavia non è una regione al riparo da minacce di instabilità: dopo essersi
faticosamente ripresa dalla crisi economico-finanziaria del 2008, che l’ha provata
economicamente e socialmente, si trova ora sotto la pressione di forze contrarie sia al suo
interno, sia all’esterno.

All’interno, si sta confrontando con l’estrema conseguenza della crisi della democrazia
rappresentativa che affligge gli Stati membri, rappresentata dai movimenti populisti ed
antieuropeisti; all’esterno, deve fronteggiare l’incremento del fenomeno migratorio dal
continente africano. Tale fenomeno presenta una natura ambivalente, perché non esaurisce la sua
portata a livello di politica estera, ma costituisce un nodo cruciale per gli stessi movimenti di
contestazione interna.

Sebbene fortemente in crisi, l’Unione europea deve intraprendere con maggiore determinazione
la strada del rafforzamento della propria sovranità strategica, soprattutto in materia di difesa
esterna, convogliando a tal fine anche gli spunti offerti dallo scacchiere internazionale: dalla
stessa Brexit, che, con le disastrose conseguenze economiche paventate per la Gran Bretagna, ha
prodotto un effetto boomerang mettendo in crisi i movimenti anti-europeisti; ma anche dalla
presidenza Trump, che ha reso attuale l’esigenza di un’Europa più forte e soprattutto capace di
autodeterminarsi, anche nei rapporti con Cina e Russia.