Recensione di Daniele Di Tommaso
Eric Weiner, in questo suo recente lavoro, indaga su quali siano i fattori che consentano lo sviluppo di menti geniali e per quale motivo esse sorgano, spesso in piccoli gruppi piuttosto che isolatamente, in certi luoghi piuttosto che in altri.
Innanzitutto, oggi, secondo l’autore, si abusa del termine genio, tributandolo a persone dall’alto quoziente intellettivo o di particolare successo in determinati ambiti professionali.
Weiner predilige invece un’accezione più ristretta, che comprenderebbe individui creativi in grado di trovare idee nuove, sorprendenti ed utili, tali da produrre dei balzi in avanti per l’umanità, secondo la definizione di Margaret Boden, studiosa di intelligenza artificiale.Alla luce delle più recenti acquisizioni della biologia e della psicologia, il genio avrebbe solo in minima parte origini ereditarie, il peso del corredo genetico sarebbe stimabile infatti tra il 10 ed il 20%. Ben più importante sarebbero lo studio e l’applicazione, che viene stimata numericamente adeguata nella cifra di diecimila ore in dieci anni di pratica in un certo ambito, solo per padroneggiare del tutto una competenza complessa. Non per diventare genio, dunque, il che, anche se non viene precisato nel dettaglio, implicherebbe un ulteriore impegno. Weiner, però, si chiede perché in certi luoghi ed in certi momenti storici vi sia una densità maggiore di menti geniali.
Il noto giornalista americano, pertanto, ripercorre, cronologicamente e spazialmente, in modo brillante ed anche ironico, anche se non molto rigoroso, alcune delle tappe più significative del cammino che ha condotto l’umanità ad eccellenze filosofiche, artistiche, musicali, scientifiche e tecnologiche, optando in particolare per l’Atene del V secolo a.C., per il periodo cinese della dinastia Song, tra il X ed il XIII secolo d.C., per la Firenze rinascimentale, per l’Edimburgo della seconda metà del XVIII secolo, per la Calcutta a cavaliere tra il XIX e il XX secolo, per il Classicismo ed il primo Romanticismo musicale viennese, per, ancora, la Vienna di Freud, Fliess, Schnitzer, Schonberg, Wittgenstein e Malher e per la Silicon Valley dei nostri tempi.
Diversi studiosi, continua l’autore, hanno tentato di spiegare, senza successo, il perché della nascita delle città creative, individuandolo, per esempio, nella tecnologia, nel talento e nella tolleranza. Ognuno di tali cause sarebbe però facilmente confutabile anche a partire dalle sei realtà urbane citate in precedenza, basti pensare allo scarso peso della tecnologia ad Atene e a Firenze (per tacere però della figura di Leonardo da Vinci, si potrebbe obiettare all’autore).
Weiner preferisce quindi parlare dell’intersezione fra disordine, diversità e capacità di discernimento. La risposta più efficace, però, a nostro parere, non è sintetizzabile in iconiche triple T o triple D. Lo stesso Weiner fa propri infatti concetti tipici della teoria della complessità, anche se non nella parte conclusiva e decisiva del testo, per cui, se è possibile individuare, ex post, le variabili che hanno condotto ad un’esplosione di menti straordinarie in un determinato luogo ed in una determinata epoca, non è possibile prevedere, per l’enorme numero dei parametri in gioco e della casualità e complessità delle connessioni che vengono a crearsi, dove e quando ci saranno assembramenti di geni nel futuro.
Le stesse motivazioni che vengono addotte per spiegare perché Atene, Firenze e le altre realtà siano state così memorabili, non consentono di intravedere costanti e regolarità. Il quesito alla base dell’indagine di Weiner rimane, quindi, sostanzialmente, privo di una risposta convincente. Quello che possiamo dire è, però, che, certamente, la geografia conta, nel senso che tentare, ad esempio, di trapiantare altrove la Silicon Valley si è rivelato infruttuoso. Il motivo è che tutti i meravigliosi esiti di civiltà e cultura descritti sono il risultato di una lunga gestazione, segnata da dolorose complicazioni, quali epidemie, guerre, tensioni di vario genere. La lentezza sembra dunque essere decisiva nella formazione dell’humus necessario per il proliferare di menti geniali, in grado di guidare l’umanità verso nuove vie, in una fertile contaminazione reciproca, come dimostrano gli esempi di Socrate, Platone ed Aristotele, geni in successione l’uno allievo dell’altro, nonché di Mozart, Haydn e Beethoven, tappe di un unico processo creativo di musica eterna, nel quale, peraltro, il compositore salisburghese già aveva assorbito e rielaborato le influenze di altri musicisti ad esso precedenti o contemporanei.